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Ho buttato Brizio nella rumenta

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Eliano Brizio, che tempo fa ha avuto i suoi quindici minuti di fama fuori dai confini del comune di cui è sindaco, stavolta corre anche per il consiglio provinciale, ovviamente per la Lega Nord.
Stamattina, su una “campana” per la raccolta vetro, faceva bella mostra il suo manifesto elettorale.
L’ho staccato e l’ho buttato nella rumenta. Da buon cittadino che ha il senso civico, l’ho buttato nell’apposito cassonetto per la raccolta carta.
Non me ne voglia, lo avrei fatto con chiunque perché detesto chi, pur avendo gli spazi appositi a disposizione, sguinzaglia gli attacchini che si sbizzarriscono ad appiccicare manifesti ovunque.

Scritto da Angelo Amoretti

4 marzo, 2010 alle 11:33

La guerra civile a Imperia

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Nuova Odessa, novembre 2011.

La guerra civile scoppiata nell’inverno del 2009 era arrivata anche da noi.
Era iniziata nelle grandi città italiane e piano piano si espanse anche nei posti più impensati.
Sulla strada se le stavano suonando di santa ragione.
Strescino fu colto alla sprovvista e convocò d’urgenza una riunione di giunta allargata a tutti i suoi consiglieri comunali. Era completamente calvo. Si era rapato a zero la sera precedente, aveva chiamato il più in forma dei giornalisti di Imperia TV – che adesso si chiama Stalingrad TV – e gli aveva detto: “Domani facciamo in diretta ’sta prova del capello, visto che ho un po’ di tempo libero”.
Ma nella notte gli avvenimenti precipitarono. Caricò sullo scooter una damigiana da 25 di olio di ricino e si avviò, a velocità regolare, verso il palazzo del Comune. Dal momento che era in scooter e che era in ampio anticipo, decise di fermarsi al Palazzo della Provincia. Trovò Giuliano particolarmente agitato: visto che era candidato alla presidenza della regione, era indeciso su dove fare resistenza. Strescino gli consigliò di andare a Savona, una via di mezzo che poteva accontentare tutti. Amadeo lo avrebbe sostituito alla grande.
Il Ministro era a Genova già da giorni, ospite di Burlando. Gli aveva telefonato per offrire la sua esperienza, dopo i successi del G8 del 2001. Gabriele Saldo lo aveva raggiunto con il treno dei pendolari delle 6.35. Quando arrivò allo scompartimento, cinque extra comunitari si alzarono per lasciargli il posto e un topo si rifugiò tra il finestrino e il sedile. “Domani dovrò fare una interpellanza in Regione, non si può andare avanti così”, pensò mentre il treno ripartiva.

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Scritto da Angelo Amoretti

27 novembre, 2009 alle 18:11

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SAD CITY – di E. Stark – Dodicesima puntata

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Sono in questo angolo paradisiaco da sei anni durante i quali mi sono relativamente informato su Sad City.
All’inizio avrei voluto dimenticarla completamente, ma non era possibile: era la città in cui ero nato, cresciuto e avevo lavorato, la città dove riposavano i miei cari. Così, ogni tanto, cercavo informazioni. Turisti ne arrivavano pochi, ma in un certo senso preferivo così. Non ero venuto certo qua per essere circondato da gente con la puzza sotto il naso. Quando ne capitava qualcuno cercavo di capire dall’accento di dove fosse e una volta ebbi l’occasione di sentire una giovane coppia che parlava con l’accento delle mie parti. In effetti non erano proprio di Sad City, ma la conoscevano bene. Così mi raccontarono che molte cose erano cambiate nella mia città. Prendemmo un gelato insieme e continuarono a raccontare. Poi li salutai e non li vidi più. Aiutavo un italiano che aveva un ristorante più che decoroso sulla spiaggia. In pratica facevo il cameriere, ma solo alla sera. Durante il giorno me ne stavo in spiaggia a pescare o a fare surf, quando il mare lo permetteva. Per vivere mi bastava quello che guadagnavo da Peppino, il proprietario del ristorante. L’avevo conosciuto qualche settimana dopo il mio arrivo. Ero andato a pranzare da lui e mi offrì il caffè. Era un tipo che si faceva i fatti suoi e mi aveva chiesto solamente cosa mi avesse portato qua. La prima stronzata che mi era venuta in mente gliela dissi:«Ho divorziato da poco e volevo togliermi di torno.»
Non fece commenti, ma disse semplicemente:«Se hai bisogno di qualcosa, conta pure su di me.»
Lo ringraziai e dopo due mesi ero a fare il cameriere nel suo locale. Mi trovò anche una casetta confortevole, non lontana dalla spiaggia e cominciai a star bene.
Adesso però mi è venuta voglia di tornare a Sad City. Voglio andare a vedere se le cose sono cambiate o no.
Ho pagato l’affitto a Peppino, gli ho detto della mia intenzione di tornare.
«Non so ancora se mi fermerò a Sad City» gli dico mentre lo saluto.
«In ogni caso, se vorrai tornare qua, sai dove trovarmi.»
Eravamo diventati amici: un grand’uomo, Peppino, poche parole, ma sempre quelle giuste.
Arrivo a Sad City dopo un’ora di taxi dall’aeroporto e chiedo all’autista di prendere la strada che costeggia il mare. E cominciano le sorprese.
Ai bordi del mare, lungo tutto il percorso, ci sono tantissimi pini marittimi. Non c’è più quella fabbrica in disuso, questo assomiglia di più a un parco. Chiedo lumi al tassita e mi conferma che in effetti lì c’è un parco enorme, e dentro ci sono campetti di calcio e di tennis, liberi a chiunque. Panchine e fontanelle, chioschetti eleganti che vendono bibite e panini a prezzi bassissimi, una pista dove poter fare passeggiate a cavallo…Non lo seguo più e lui si accorge del mio stupore e mi chiede:«Scusi, ma lei è di qua?»
Rispondo che ci sono nato, ma che manco da qualche anno.
Allora mi chiede se ho voglia di fare un giro perché intuisce la mia curiosità e io acconsento.
Passiamo in centro che più o meno è come prima. Mi porta verso l’entroterra e mi rendo conto che al posto dell’azienda dei Charly Brothers adesso c’è un enorme complesso, stupendo, in mezzo ai pini e agli ulivi. Lui, che conosce bene Sad City, mi dice che adesso ci sono quattro cinema, una modernissima biblioteca, un paio di librerie, un ristorante, alcuni bar e una pista di pattinaggio, tra le tante altre cose.
«Prenda per qua!» gli dico improvvisamente.
«No, di qua non si passa: è diventata una pista ciclabile che costeggia tutto il mare per quattro o cinque chilometri.»
«Accidenti, ne sono cambiate di cose!» gli dico tutto eccitato.
E lui mi racconta che in effetti ne sono cambiate molte. Il Sindaco che c’era prima l’hanno arrestato per storie di corruzione, insieme a un bel po’ di assessori e da tre anni la giunta è cambiata. Ci sono molti giovani in Consiglio, gente in gamba, che ha voluto far crescere la città senza mettersi soldi in tasca. Si sono dati da fare per tutti: giovani e anziani.
«Che bello, mi fa proprio piacere!» gli rispondo.
L’auto esce dalla città per imboccare la strada che mi riporta a casa.
Nello specchietto retrovisore vedo un cartello di sfuggita, così mi volto per guardare meglio: è a sfondo bianco e c’è scritto “Benvenuti a Sun City“.

Fine

Scritto da Angelo Amoretti

4 dicembre, 2005 alle 16:48

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SAD CITY – di E. Stark – Undicesima puntata

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Il tempo era splendido. Non ne ero certo, ma con ogni probabilità l’onorevole avrebbe fatto il suo solito giro in bicicletta del sabato mattina.
Era diventata un’abitudine ormai e quando tornava a casa, quasi tutte le settimane, prendeva la bicicletta e usciva per le vie di Sad City. Aveva la scorta, naturalmente, e quando passava lui sembrava di assistere a una gara ciclistica perchè c’erano staffette davanti e dietro.
Mi ero appostato su una piazzetta che offriva una panoramica di almeno cinquecento metri sul tragitto che avrebbe percorso e aspettai. L’attesa non fu lunga perché dopo una mezzoretta ecco laggiù la carovana che stava andando verso ovest. Sapevo che entro pochi minuti avrebbe svoltato e rifatto il percorso all’indietro.
Non volevo far troppo male e speravo che Frank non avesse esagerato con la potenza dell’esplosivo. Lasciai che i due poliziotti passassero vicino al tombino e quando l’onorevole fu a cinque o sei metri diedi l’input col cellulare.
Ci fu un botto incredibile, tipo quello che causò la morte di Carrero Blanco in Spagna. Come in quell’occasione tutti pensarono che si fosse trattato di una fuga di gas. Da quello che rimaneva del tombino, infatti, si sprigionò il classico odore del metano e inoltre un tubo dell’acqua, nello scoppio, in pochi minuti stava allagando il buco provocato dall’esplosione, cancellando per sempre qualche eventuale traccia di esplosivo.
Qualche minuto dopo ci fu un viavai incredibile di pompieri, polizia e ambulanze. La bicicletta dell’onorevole era finita su una palma, a circa venti metri dal tombino esploso. Lui fu trovato nel negozio vicino alla strada. Lo spostamento d’aria l’aveva letteralmente sbattuto dentro, fracassando la vetrina. Credo sia stato proprio il gestore del negozio a chiamare i primi soccorsi. Le macchine si erano fermate tutte: c’era gente che urlava e qualcuno stava portando i primi soccorsi. Metà della strada era una voragine almeno larga quattro metri e profonda due. Cazzo, Frank aveva un po’ esagerato! Approfittando della confusione, scesi per i vicoli per andare a raggiungere la mia macchina. Incontrai una vecchietta che mi chiese cosa fosse successo. Non mi fermai, ma senza guardarla in faccia, tutto concitato, risposi che avevo sentito un’esplosione e che stavo andando a vedere.
Salito in macchina, presi la direzione verso est e me ne tornai a casa. Non c’erano posti di blocco perché tutti pensavano che l’esplosione fosse stata causata da una fuga di gas.
Lasciai passare qualche giorno, seguendo gli sviluppi delle indagini attraverso i giornali locali e nazionali.
Ogni mattina, come al solito, scendevo al bar e la gente non parlava d’altro. C’era chi sosteneva che si fosse trattato di un attentato, magari della mafia, e chi diceva che sicuramente non c’entravano nè mafia nè terroristi perché probabilmente era stata la fuga di gas a provocare quel macello.
Nessuno era morto, per fortuna. I poliziotti della scorta che stavano dietro all’onorevole avevano riportato ferite serie agli arti e leggeri traumi cranici.
Quello che stava peggio era l’onorevole: apparentemente aveva perso l’uso della parola e non ricordava niente.
Il tempo passava, c’erano stati molti controlli tra i gruppi più scalmanati di Sad City e qualche mafioso. Qualcuno fu portato in galera, ma nessuno venne incriminato.
L’onorevole si era ripreso, ma non riusciva a camminare senza l’aiuto di qualcuno. Aveva perso completamente la memoria e quando parlava diceva frasi sconnesse. La famiglia gli stava vicino e la domenica mattina qualcuno lo portava a fare una passeggiata sul lungomare. Le persone che lo incontravano, lo salutavano con cordialità e lui rispondeva con un sorriso, ma non riusciva mai a formulare un pensiero compiuto. Dal punto di vista politico, la sua carriera era finita e dopo un po’ anche quelli che gli erano stati vicini quando era in politica, non andarono più a trovarlo.
Dopo sei mesi presi un aereo per il Costa Rica e lasciai Sad City al suo destino.

Scritto da Angelo Amoretti

27 novembre, 2005 alle 9:49

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SAD CITY – di E. Stark – Decima puntata

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Il tempo passava e mi stavo preparando all’ultimo atto della mia missione per salvare Sad City: l’ultimo, il più rischioso, il botto finale.
Come ogni città che si rispetti, anche Sad City aveva i suoi parlamentari, alcuni con poco potere, altri con tantissimo.
Uno in particolare mi stava sulle palle perchè con la sua banda era letteralmente diventato padrone della città, e non solo. Bisognava impedirgli di fare ulteriori danni. Aveva fatto anche cose positive, ma soprattutto per le tasche sue e dei suoi amici, poco o niente di utile per la cittadinanza.
Il piano stavolta era più complicato e c’era il serio rischio che venissi colto con le mani nel sacco e se così fosse stato, avrei passato il resto dei miei giorni in galera. Avevo deciso di far tutto per conto mio, in modo che nessuno, un dato giorno, potesse fare il mio nome.
Mi serviva ancora Frank.
Ogni tanto lo vedevo sulla passeggiata, ma mai una volta i nostri sguardi si erano incrociati per più di due secondi. Da quando mi aveva venduto la pistola per l’affare Garden, non avevamo più avuto alcun contatto. Il fatto che fosse libero come un uccellino significava che non aveva noie con la giustizia. Era un grande, Frank. Aveva sempre saputo come comportarsi, non aveva mai ammazzato nessuno e continuava indisturbato a farsi i suoi affarucci.
Entrai al bar dove di solito prendeva l’aperitivo e gli feci scivolare in tasca un bigliettino dove avevo scritto la mia richiesta. Lui se ne accorse, ma non si scomodò minimamente. Bevve il suo aperitivo, pagò il conto e uscì dal bar.
Alcuni giorni dopo tornai sulla passeggiata e in mezzo al brusio della gente, quando mi si avvicinò, mi disse:« Vai in macchina e aspettami.»
Feci come mi disse di fare e me ne tornai alla macchina senza fretta. Lui mi aveva seguito e lo vidi nello specchietto retrovisore avvicinarsi con aria assorta. Giunto all’altezza del finestrino mi porse con destrezza un pacchetto dicendo:«Devi solo collegare i fili e fare un numero di telefono»
Giunto a casa esaminai il contenuto del piccolo pacco: era una scatoletta nera che a occhio e croce pesava meno di un chilo. Vidi i due fili di diverso colore che penzolavano e su un biglietto un numero di cellulare.
Mi fidavo di lui: gli avevo chiesto dell’esplosivo, quel tanto che bastasse per far saltare un tombino, possibilmente senza fare troppi danni alle persone che si sarebbero trovate nelle vicinanze.
Piazzarlo fu uno scherzo. La sera, a parte in estate, in giro per Sad City non c’è nessuno, ma dovevo lo stesso fare attenzione per via di qualche macchina di pattuglia della polizia che avrebbe potuto passare da un momento all’altro. Il venerdì stabilito, alle dieci, uscii di casa e parcheggiai la macchina al bordo della strada, fingendo di andare alla macchinetta che distribuisce le sigarette. Con un piede di porco alzai il coperchio del tombino e piazzai il pacchetto sopra i tubi, poi chiusi subito il tombino. Presi la macchina e tornai a casa. Non c’era alcun pericolo: la bomba non sarebbe esplosa senza l’input del cellulare.

Scritto da Angelo Amoretti

20 novembre, 2005 alle 9:44

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SAD CITY – di E. Stark – Nona puntata

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L’Azienda era appena fuori città ed era grandissima, con un ampio cortile dove posteggiavano le auto sia gli impiegati che i clienti. L’edificio era su due piani. Al piano terra c’erano i depositi e i magazzini dove l’olio veniva confezionato e poi spedito ai clienti. Al primo piano c’erano gli uffici, eleganti e accoglienti.
I clienti avevano anche l’opportunità di visitare lo stabilimento, spesso in gruppetti, e un fnzionario fungeva da guida, spiegando tutti i procedimenti che subiva l’olio prima di giungere sui tavoli dei consumatori.
Mi accodai a uno di questi gruppetti, con l’intenzione di comprare una scatola di bottiglie del prezioso prodotto e quando giunsi vicino a un serbatoio, con indifferenza, lasciai cadere tutte le palline di clorofilla che avevo in tasca in un sacchetto di plastica.
Alla fine della visita tornai a casa con le mie sei bottiglie d’olio.
Lo scandalo scoppiò qualche mese dopo. Non si sa bene da dove ebbe origine. Fatto sta che qualche cliente un po’ troppo attento e preciso, decise, non si sa perché, di fare analizzare un campione d’olio che aveva acquistato da poco. Il furbacchione lo aveva portato al laboratorio di analisi in una bottiglia anonima, in modo che l’analista facesse il suo dovere senza essere condizionato e risultò che l’olio era stato alterato con aggiunta di clorofilla.
Ritirate le analisi, il furbastro si rivolse a un avvocato, che pare curasse gli interessi di una ditta concorrente e fu così che venne fuori lo scandalo.
Per qualche mese i giornali locali evitarono di parlare del fatto, ma alla fine dovettero svelarlo, anche perché il vai e vieni di Guardia di Finanza e dei Nas avevano insospettito non poco i clienti e quelli di Sad City che abitavano vicino all’azienda incriminata.
Furono messi i sigilli ai contenitori dell’olio e le vendite calarono in modo vertiginoso.
I proprietari e i chimici furono incriminati di frode commerciale. Iniziarono i lunghi, interminabili processi da cui sarebbe stato difficile uscri fuori indenni perché lo scandalo si stava allargando. Da altre parti piovevano denunce e sembrava che la catena non dovesse più avere fine. Una partita enorme di olio risultava adulterata.
Sad City era sconvolta. Come sempre c’era chi si schierava a favore e chi contro.
Nei bar non si parlava d’altro. C’era chi diceva:«Io me lo sentivo che prima o poi li avrebbero beccati» e chi ribatteva:«Sono certo che è tutta una manovra che fa comodo a qualcuno»
Altri erano fiduciosi che tutto sarebbe tornato alla normalità, ma intanto molti dipendenti furono messi in cassa integrazione e non sapevano come sarebbe finita.
Io lo sapevo e continuavo a vivere la mia vita tranquillamente: avevo messo in ginocchio i Charly Brothers.

Fine nona puntata – continua –

Scritto da Angelo Amoretti

13 novembre, 2005 alle 10:40

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SAD CITY – di E. Stark – Ottava puntata

senza commenti

Era passato un anno da quando avevo sparato a Garden ed era giunto il momento di mettere in atto il mio secondo colpo.
Ero riuscito a mantenermi calmo e penso di non essermi mai tradito. Continuavo a frequentare qualche amico, a vedermi con loro il sabato sera, a prendere l’aperitivo la domenica. Insomma, tutto filava liscio e nessuno pareva avesse scorto un qualsiasi cambiamento in me: significa che non c’era stato. Semplicemente ero determinato a portare a termine la mia missione. Già, me l’ero proprio messa in testa come si fosse trattato di una vera e propria missione.
A volte mi chiedevo a cosa mai potesse servire, a me e a Sad City, quello che avevo in mente di fare e la risposta era: forse a niente, ma almeno mi sarei tolto qualche piccola soddisfazione personale. Ero diventato bastardo e nessuno se n’era accorto.
A Sad City c’era un’industria olearia, fiore all’occhiello della città.
I proprietari erano padroni quasi di tutto e ormai avevano il potere di cambiare Sad City a loro piacimento, grazie agli intrallazzi che avevano con i politici. Avevo deciso di rovinarli.
Magari col tempo si sarebbero ripresi, ma col tiro che avevo in mente di far loro, per un po’ non avrebbero più contato niente. E si sa come vanno le cose: finchè hai la grana, l’immagine e gli appoggi giusti, sei potente e rispettato. Se perdi la faccia e la grana, automaticamente perdi tutto il resto.
Avevo un amico che era stato dipendente dell’Ufficio di Igiene come analista. Una sera, mentre eravamo a bere una birra in un bar del centro, cominciai a parlare di olio. A lui faceva piacere ripensare a quando aveva lavorato là. Lo pagavano bene e si era fatto un bel po’ di esperienza perché analizzava tutto: acqua, latte, carne, pesce e tutto quello che c’era di commestibile in commercio.
Lo portai sul discorso che mi interessava e mi feci raccontare come veniva alterato chimicamente l’olio. Mi raccontò un sacco di modi che non avrei mai potuto immaginare. L’olio d’oliva veniva addirittura alterato intervenendo sulla molecola!
Di tutti i sistemi, quello che ebbe la mia attenzione, fu la clorofilla. Con questo prodotto i truffatori alteravano il colore dell’olio rendendolo più verde e più attraente. In alcuni Paesi era legale, in Italia no: era seriamente dannosa alla salute.
Avevo capito come fare per rovinare i Charly Brothers.

Fine ottava puntata – continua –

Scritto da Angelo Amoretti

6 novembre, 2005 alle 10:38

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SAD CITY – di E. Stark – Settima puntata

senza commenti

Ai tempi del militare ero stato un buon tiratore, ma da allora non avevo più preso una pistola in mano.
Per quello che dovevo farne in fondo non serviva una gran mira, serviva solo tanta freddezza e io ne avevo da vendere. Controllai solo che tutti i meccanismi della Beretta fossero a posto e la sera dopo mi preparai a fare ciò che mi portavo dentro da quasi un anno: sparare nei coglioni a Garden.
Garden era un vigile che mi aveva multato perchè in scooter ero senza casco. Avevo appena messo in modo, nella via centrale di Sad City, per tornarmene a casa, pensavo ad altro e avevo dimenticato di indossarlo. Sicuramente me ne sarei accorto subito, ma lui prima che uscissi fuori dal parcheggio era già lì a chiedermi patente e libretto. Le discussioni erano state inutili, non c’era stato verso di convincerlo che magari, fuori dal parcheggio mi sarei accorto della mia mancanza e avrei provveduto. Mi aveva fatto la multa più salata che potesse esserci ed ero tornato a casa incazzato come una iena. Possibile, mi dicevo, che con tutti i vigili che conosco in città dovesse capitarmi proprio il più stronzo?
Oltretutto non lo conoscevo affatto, doveva essere nuovo. Mi aveva trattato con un’arroganza indescrivibile, mi ero sentito umiliato lì davanti a tutti.
Giorni dopo cominciai a fare le mie indagini e venni a sapere dove abitava. Era un tipo metodico: usciva dalla Centrale alle sei di sera e andava a casa dalla sua giovane mogliettina e generalmente rimaneva nelle sue quattro mura domestiche, a parte i fine settimana. Abitava in una villetta in collina, a ovest di Sad City, dove le case distano almeno cinquecento metri una dall’altra.
Per qualche sera rimasi in macchina ad aspettare: intorno alle nove usciva a portare l’immondizia nei bidoni a un centinaio di metri da casa sua.
Era lì che lo avrei affrontato.
Parcheggiai la macchina lontano e quando lo vidi uscire di casa, scesi e mi misi alle sue costole.
Si accorse di essere seguito, ma non fece in tempo a vedermi in viso perchè appena si voltò dalla Beretta partirono due colpi diretti verso il basso ventre. Cadde a terra senza fiatare, quasi stupito e incredulo. Corsi verso la macchina e quando misi in moto, le sue grida mi giunsero alle orecchie, ma prima che qualcuno potesse essere da lui io ero già a qualche chilometro di distanza, sulla strada di campagna che portava vicino casa mia.
Fermai nei pressi di una vigna semi abbandonata. Sapevo che c’era un pozzo che una volta veniva sfruttato per irrigare le viti. Era coperto dagli arbusti che ancora non superavano la recinzione. Gettai la pistola lì dentro dove difficilmente sarebbero venuti a cercarla, e me ne andai a casa.
Avevo sparato a Garden nei coglioni.
Giorni dopo sui giornali locali lessi che si stava indagando nei giri della mala e che Garden stava bene, ma non avrebbe mai più potuto avere figli.

Scritto da Angelo Amoretti

30 ottobre, 2005 alle 16:30

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SAD CITY – di E. Stark – Sesta puntata

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Non aggiunse altro, allungò il passo e io rallentai il mio, continuando a passeggiare nella stessa direzione.
Saremo stati fianco a fianco sì e no cinque minuti e nessuno avrebbe potuto sospettare qualcosa. Alla fine della passeggiata tornai indietro verso la macchina, mi fermai al supermercato, feci la spesa, comprai la colomba e tornai a casa.
Presi tre biglietti da cento euro, li piegai per bene e li infilai dentro la scatola della colomba e il giorno dopo andai in centro. Mi fermai in un negozio a comprare due camice: una azzurra e l’altra bianca. Pochi metri più su c’era un negozio di scarpe. Guardai la vetrina e vidi un modello che mi piaceva. Entrai, le misurai e decisi di prenderle. Mi diressi verso la passeggiata con due pacchi e la colomba, con aria spensierata.Per un attimo ebbi il timore che Frank mi avesse preso in giro, mi guardai intorno con noncuranza e finalmente lo vidi seduto a un tavolino del bar: i nostri sguardi si incrociarono e mi avviai verso di lui. Notai che aveva una colomba Balocco e mi accomodai a un tavolino più in là. Appoggiai i pacchi per terra vicino alla sedia e ordinai l’aperitivo. Non sapevo cosa avesse in mente di fare, ma evitai di guardarlo e mi misi a leggere il giornale. Approfittando di un attimo di confusione, Frank si alzò e con una destrezza da prestigiatore prese la mia colomba e lasciò la sua, poi con calma si avviò verso la strada.
Quando decisi di andarmene arrivò un amico che non vedevo da tempo così lo invitai a sedersi e a prendere un aperitivo con me. La faccenda andava bene: ero tranquillamente seduto a prendere l’aperitivo con una persona con la quale stavo chiacchierando del più e del meno.
«Vedo che hai fatto spese, eh?!»
«Sì, oggi avevo voglia di spendere» risposi sorridendo.
«Senti, ti va di pranzare insieme?»
«Ti ringrazio, ma sono invitato da mia sorella. La colomba è per lei»
«Sarà per un’altra volta, allora» disse.
«Certo, volentieri, magari ci sentiamo» e ci salutammo.
Giunto a casa controllai subito il contenuto della confezione della colomba e fasciata in un panno giallo trovai la pistola. Era una Beretta Cougar F automatica, con caricatore da quindici colpi e proiettili da 9 millimetri. Sembrava nuova. Da molto tempo non tenevo in mano una pistola: ero emozionato.

Fine sesta puntata – continua –

Scritto da Angelo Amoretti

23 ottobre, 2005 alle 10:55

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SAD CITY – di E. Stark – Quinta puntata

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Mi serviva una pistola. Non ne avevo mai usate in vita mia, ma era giunto il momento di farlo. Pistole se ne trovavano ovunque, ma pensai di non comprarla direttamente perchè spesso chi te la vende è un informatore della polizia. Così decisi di servirmi di un appoggio.
Qualche tempo prima ero in macchina con Lucky: stavamo andando a prendere l’aperitivo al centro. A un certo punto con un colpo di clacson salutò un tizio seduto al tavolo di un bar, e mi disse: «Lo vedi quello lì? Si chiama Frank. E’ un trafficone che non t’immagini e bisogna tenerselo buono perchè a darti una coltellata non ci mette nè uno nè due! Se gli chiedi un computer, una televisione, una pistola, insomma, qualsiasi cosa, stai certo che te la procura.»
Lo trovai qualche giorno dopo sulla passeggiata e lo avvicinai.
«Salve! Ha da accendere?»
Prese il suo Dupont d’oro e mi fece accendere senza dire una parola.
S’incamminò verso levante e io gli stavo a un metro di distanza: la passeggiata brulicava di gente e di bambini chiassosi: proprio quello che ci voleva per coprire le nostre voci nel caso ci fossero stati microfoni nascosti nei lampioni o sulle palme. Non ho mai saputo se ci fossero veramente, ma non volevo correre nessun rischio.
A Montecarlo c’erano telecamere dappertutto e anche a Sad City il sindaco voleva cominciare a metterne qualcuna nella via principale, per ‘controllare il traffico’.
«Sono amico di Lucky» dissi senza preamboli.
Frank non era un malavitoso, ma qualche noia con la giustizia l’aveva avuto e nel giro era conosciuto.
«Ah! E come sta il tuo amico?» chiese senza voltarsi verso di me e continuando a passeggiare.
Sapevo benissimo che era una domanda trabocchetto: tutti quanti nel giro sapevano che Lucky era al fresco, così non esitai e gli risposi: «Non credo che se la stia passando bene e forse starebbe meglio se fosse fuori.»
Lui meditando rispose: «Cosa vuoi da me?»
«Mi serve una pistola.»»
«Fatti trovare qua domani a quest’ora con una colomba pasquale. Porta quella da un chilo della Balocco, con le mandorle e mettici dentro trecento euro».

Fine quinta puntata – continua –

Scritto da Angelo Amoretti

16 ottobre, 2005 alle 20:52

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