Sulla politica e i politici nostrani

senza commenti

Ricevo e pubblico con piacere:

Iniziamo il nostro ragionamento con una constatazione: se la sinistra non si considerasse alternativa alla destra, e se – di conseguenza – desse per scontato che la sola possibilità di accedere al potere (meglio sarebbe dire a qualche briciola benevolmente concessa del potere) consistesse nel mettersi in affari con la parte (teoricamente) avversa, lo schieramento progressista non governerebbe una sola Regione, una sola Provincia, un solo Comune del Bel Paese.
Per fortuna dei nostri concittadini, non è così.
O meglio, non è così nel resto d’Italia: ad Imperia, invece, la sinistra non pare volersi discostare, dimostrando una tenacia veramente degna di miglior causa, dalla strategia del “partito trasversale”. Si tratta ormai, più che di una strategia, di un riflesso condizionato che si origina – come ogni riflesso condizionato – dal ripetersi delle stesse conseguenze una volta messi in atto gli stessi comportamenti.
Vediamo allora come si è originata questa tendenza.
L’eredità della generazione che aveva diretto la Resistenza venne raccolta da una generazione più giovane intorno al 1965.
Facciamo attenzione alla data, perché essa coincide col ventennale della Liberazione.
Questa data avrebbe dovuto suscitare una duplice riflessione: da parte dei democratici cristiani, sul fatto che l’anticomunismo, pur giustificato dallo stalinismo, dal persistere della minaccia costituita dalla macchina militare sovietica e dalla insufficienza del processo di revisione da parte della sinistra italiana – aveva finito per legittimare ogni sorta di comportamento autoritario e reazionario sul piano sociale come sul piano culturale; da parte dei comunisti, sul fatto che la bandiera rossa veniva ormai usata come foglia di fico per coprire una realtà di oppressione dei popoli.
Nulla di tutto ciò, tuttavia, avvenne, perché il convergere degli interessi tra alcuni dirigenti dei due schieramenti finì col giustificare la strenua difesa di uno “status quo”, caratterizzato da un irriducibile conflitto ideologico che privilegiava la convenienza dei dirigenti rispetto alle aspirazioni della nostra gente.
Ecco dunque i partner del partito trasversale farsi portabandiera dello stalinismo più ottuso, cui faceva riscontro sul versante opposto l’anticomunismo più estremo.
Occorreva ad entrambi accaparrarsi fiducia dei rispettivi punti di riferimento, da cui dipendevano le loro carriere: impresa, questa, in cui riuscirono molto bene, complice la senescenza di personaggi che ormai si vedevano dalle nostre parti soltanto in occasione delle loro periodiche rimpatriate, di carattere religioso e politico.
Cresceva, intanto, ma solo anagraficamente, e non certo per influenza politica, una terza generazione, e qui venne la catastrofe: i figli del sessantotto, lungi dal praticare l’antiautoritarismo che aveva contraddistinto i loro tempi, si dimostrarono dei “primi della classe”, nella certezza che l’ostentata mancanza di senso critico avrebbe propiziato loro un sicuro avvenire di burocrati. Costoro fecero la fine di quegli eredi al trono che – beffati dalla longevità dei predecessori – finiscono col regnare per una breve ed infelice stagione.
Il trionfo finale di Claudio Scajola non deve dunque stupire: pur non condividendo per nulla le sue opinioni, dobbiamo riconoscere che egli è un gallo in un pollaio popolato soltanto di capponi.
La sua vittoria risulta tanto più eclatante se si considera che tutta la strategia del partito trasversale era concepita contro di lui, i generali sono invecchiati, gli ufficiali di rango intermedio si sono rivelati imbelli e i soldati – semplicemente – non ci sono.
Questo esito paradossale della nostra vicenda coincide del resto con la fine della Prima Repubblica e con la liquidazione non già della Resistenza – Dio sa, infatti, quanta Resistenza ci vorrebbe in questo frangente! – ma dell’uso improprio e strumentale che ne è stato fatto tanto a lungo.
Una notazione finale va fatta sulla quarta generazione: essa pare all’oscuro delle vicende che l’hanno preceduta, oppure non in grado di trarne le conseguenze.
I nostri giovani leoni accostumano accompagnare i visitatori genovesi e romani, ieri Burlando, oggi la Melandri, a visitare le glorie locali: suggeriamo loro di includere in questo giro di memorie storiche un omaggio a Edmondo De Amicis, dato che ne ricorre il centenario.
L’autore del “Cuore” (ma anche de “La carrozza di tutti”, non dimentichiamolo) fu uomo del Risorgimento e antesignano del movimento socialista.
Fu anche monarchico, è vero, ma non fece affari con casa Savoia.
Il Perasco.

Scritto da Angelo Amoretti

22 aprile, 2008 alle 9:57

Pubblicato in Politica

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