Alessio Saso vuole intitolare una via a Giorgio Almirante

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Ai miei tempi “via Almirante” significava “via i fascisti”.
Trovo inappropriato l’accostamento fatto da Saso tra Natta e Almirante allo scopo di intitolare una via al segretario fascista del Movimento Sociale Italiano.

Probabilmente il nostro consigliere regionale si è perso la seduta alla Camera dell’altro giorno in cui Emanuele Fiano del PD, a proposito della proposta di Alemanno di intitolare una via di Roma a Almirante, dopo aver letto un passo da “La difesa della razza”, scritto dal fucilatore e torturatore Almirante, si è sentito dire proprio da Gianfranco Fini che “quelle frasi sono vergognose“.
Eccole:

Il razzismo ha da essere cibo di tutti e per tutti, se veramente vogliamo che in Italia ci sia, e sia viva in tutti, la coscienza della razza. Il razzismo nostro deve essere quello del sangue, che scorre nelle mie vene, che io sento rifluire in me, e posso vedere, analizzare e confrontare col sangue degli altri. Il razzismo nostro deve essere quello della carne e dei muscoli; e dello spirito, sì, ma in quanto lo spirito alberga in questi determinati corpi, i quali vivono in questo determinato paese; non di uno spirito vagolante tra le ombre incerte d’una tradizione molteplice o di un universalismo fittizio e ingannatore. Altrimenti, finiremo per fare il gioco dei meticci e degli ebrei; degli ebrei che, come hanno potuto in troppi casi cambiar nome e confondersi con noi, così potranno, ancor più facilmente e senza neppure il bisogno di pratiche dispendiose e laboriose – fingere un mutamento di spirito e dirsi più italiani di noi, e simulare di esserlo, e riuscire a passare per tali. Non c’è che un attestato col quale si possa imporre l’altolà al meticciato e all’ebraismo: l’attestato del sangue.
Giorgio Almirante – 5 maggio 1942

Già che ci siamo potremmo intitolare una via anche a Giovanni Ferraris che con la sua Compagnia di ordine pubblico fascista (meglio nota come “Banda Ferraris”) dall’aprile ‘44, e per un anno, dalle nostre parti diede la caccia ai partigiani facendone imprigionare, torturare e infine fucilare o impiccare, circa un centinaio.

Scritto da Angelo Amoretti

29 maggio, 2008 alle 10:33