La storia più allucinante degli ultimi 150 anni

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Acquisto una casa, qualcuno ne paga una parte e io non so chi sia e perché lo abbia fatto.

L’inchiesta entra nel vivo
Casa di Scajola, i conti non tornano
Gli inquirenti vogliono capire la provenienza di quei 900 mila euro serviti per l’acquisto.

Dicono gli inquirenti che non è accanimento, ma solo il tentativo di dare una spiegazione «all’episodio fino a oggi più incomprensibile di quest’inchiesta», i 900 mila euro serviti per pagare parte dell’abitazione romana di Claudio Scajola. E per l’ex ministro delle Attività produttive le prossime settimane, con il ritorno in attività a pieno ritmo dei pm dell’inchiesta sulla “cricca”, saranno decisive.
Perché i detective non vogliono rinunciare a compiere l’ultimo tentativo per capire come sia andata davvero quella vicenda e quali siano le motivazioni.
E partono da due considerazioni. La prima: di fronte alla versione raccontata da Scajola, di esser stato «all’insaputa» del movimento di assegni, gli investigatori sono convinti di aver «almeno una testimonianza» che dice come Scajola fosse presente al momento di cambio di mano di quei titoli.
Di chi è la testimonianza? Non quella dell’architetto Angelo Zampolini, l’uomo che per conto dell’imprenditore Diego Anemone ha organizzato la partita. Perché Zampolini spiega ai pm i movimenti di quegli assegni e la loro consegna, «ma il quel momento Scajola non c’era». Gli investigatori perugini non sono disposti a credere, almeno finora, che all’oscuro di Scajola si sia realizzato il tentativo di annacquare la provenienza sospetta di una grossa somma di denaro. E in questa strana storia emerge un altro dettaglio stonato: gli assegni del mistero avrebbero cambiato tasca almeno otto volte: davvero un’idea incauta (o troppo presuntuosa?) quella di lasciare per strada otto testimoni di un illecito.
L’altro passaggio su cui gli inquirenti si stanno concentrando è la possibile motivazione di una “regalìa” così consistente al ministro. Ricordiamo: Scajola finora non è indagato proprio perché non si è trovata una diretta corrispondenza tra l’episodio e possibile favori o piaceri transitati sull’asse Balducci Anemone Zampolini.
Diversamente da com’è andata per un altro ex ministro, Pietro Lunardi, indagato nell’inchiesta con il cardinale Crescenzio Sepe. Nei giorni scorsi il tribunale dei ministri ha dato via libera alla trasmissione degli atti al parlamento, reputando attendibile la ricostruzione dei magistrati: uno scambio di favori tra un affare immobiliare di Lunardi eunfinanziamento concesso al museo di Propaganda Fide.
Ma proprio per dare una risposta definitiva in un senso o nell’altro a ogni dubbio sull’affaire Scajola, negli uffici degli stretti collaboratori dei pm ci sono le carte di «decine di contratti, migliaia di pagine, in parte ancora da verificare». Ancora oggi l’ipotesi scavata con più determinazione è quella di un possibile intervento di Scajola nel grande appalto che segnò l’inizio dell’ascesa imprenditoriale di Amenone e del suo gruppo.
È la ristrutturazione del palazzo del Sisde in piazza Zama a Roma, costata circa 11milioni di euro. I lavori furono affidati nel 2002, quando Scajola guidava il Viminale. In quello stesso periodo il generale Francesco Pittorru, altro beneficiato di Anemone, era responsabile del settore logistico dell’intelligence.
Sottolineano gli inquirenti: «Quell’affare ha reso veramente moltissimo ad Anemone, non solo in termini di stretto ritorno economico, ma perché l’ha lanciato nel mondo degli appalti d’oro». Così gli accertamenti su quella delicatissima vicenda, dalla quale sono poi emersi sprechi e spese gonfiate, proseguono a pieno ritmo.
Per tornare a premere sul pedale dell’acceleratore dell’inchiesta i pm attendono ora di sapere se il gip concederà una proroga di sei mesi all’indagine.
Per sostenerne l’esigenza hanno preparato un pacchetto di nuovi accertamenti che ritengono ineludibili, come il denaro arrivato sui conti del presidente del Consiglio di Stato, Pasquale De Lise (che lo ha però spiegato come pagamento di una regolare compravendita immobiliare), una seconda “lista Anemone” che contiene l’illustrazione di lavori e nominativi tra cui un “Berlusconi” e nuovi dettagli su lavori di ristrutturazione nell’appartamento romano di Scajola. La decisione del giudice è prevista nei prossimi giorni.
Se sarà positiva, se le indagini sul primo gruppo di 24 indagati potranno ancora proseguire, la prossima settimana l’inchiesta sulla cricca degli appalti potrà ripartire a pieno ritmo.
Marco Menduni – Il Secolo XIX – 8 settembre 2010