Sparizione de la Repubblica: svelato il mistero

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Leggendo il blog di Giorgio Montanari ho capito perché sabato mattina non si trovava la Repubblica nelle edicole del centro della nostra città.
Non so se sia successa la stessa cosa anche domenica. Nel dubbio, a beneficio degli affezionati del quotidiano di Eugenio Scalfari, riporto l’articolo di Vittorio Coletti.
“I giornalisti raccontano i fatti” – diceva il procuratore Cavallone – e Travaglio parlava della “scomparsa dei fatti”. Ma nel caso i fatti siano raccontati e non spariscano, basta far sparire i giornali che li riportano.

L’ onore di Scajola

Ora che è stato rinviato a giudizio per la faccenda della casa, Claudio Scajola dovrebbe far causa al suo avvocato. Infatti, col comportamento processuale che gli ha suggerito, non ha evitato il processoe in compenso ha distrutto la sua immagine. Nella memoria difensiva dell’ ultimo minuto Scajola fa qualche ammissione che, se fatta all’ inizio, a viso aperto, non gli avrebbe forse evitato il processo cui oggi viene rinviato, ma certo avrebbe molto giovato alla sua immagine pubblica. Scajola doveva andare subito dai magistrati, dire la verità, qualche che essa sia, e magari avrebbe potuto cavarsela meglio anche sul piano giudiziario. Di sicuro ne avrebbe guadagnato su quello personale. È singolare come il tatticismo giudiziario degli avvocati possa fare più danni che benefici all’ assistito, specie quando questi è un uomo pubblico, per il quale il giudizio della collettività è più pesante di quello di un tribunale. S i tratta di una delle tante patologie della nostra cosiddetta giustizia. L’ ufficio del pubblico ministero è considerato un luogo nemico, da cui non solo il colpevole ma persino l’ innocente deve girare al largo. Magari, purtroppo, è in parte davvero così, perché spesso i pm paiono accanirsi nelle loro accuse anche quando risultano visibilmente infondate e respinte dagli stessi collegi giudicanti. Personalmente, ho dei dubbi persino sull’ opportunità dell’ appello da parte delle procure, perché se lo Stato (la procura) accusa uno di essere colpevole e lo Stato stesso (la corte) lo assolve, lo Stato se ne dovrebbe stare e non reiterare l’ accusa che ha appena giudicato infondata. In ogni caso, se si pensa alla procura come al luogo in cui la comunità indaga per verificare se qualcuno ha commesso (o non ha commesso) un crimine, allora un bravo cittadino, specie se si sente senza colpe, dovrebbe avvertire lui per primo il bisogno di esservi ricevuto e ascoltato. Chi è innocente o pensa in buona fede di non aver commesso un reato invoca il magistrato. Ma anche l’ onesto che lo ha commesso involontariamente, o senza accorgersene, o per una momentanea debolezza o necessità, lo reclama, e ammette le sue colpe, chiedendo di essere giudicato con clemenza. Qualche mese fa a Sanremo, il conducente di un Suv ha invaso la corsia opposta e ucciso tre ragazze di vent’ anni. L’ uomo, un avvocato, ha fatto sapere di essere moralmente distrutto dall’ incidente provocato. C’ è da credergli. Ma perché non si è presentato al magistrato che lo aveva subito convocato? Certo, il procuratore avrebbe potuto contestargli imprudenza nella guida e accusarlo di un reato giuridicamente più grave; ma chi ammazza tre ragazze, per fatalità o tragico errore, può calcolare i vantaggi e gli svantaggi di una sua deposizione o dovrebbe correre in procura ad assumersi tutte le sue responsabilità, quali che esse siano? Nel savonese, un chirurgo ha tolto l’ unico rene sano a un paziente che doveva operare alla milza. Prima di decidersi ad affidare al suo avvocato qualche parola di chiarimento, ha rifiutato di andare dal magistrato e, singolarmente, quando ha parlato, più che chiedere scusa del suo errore, ha cercato di giustificarlo. Il fatto è che il senso dell’ onore, come tutela non del proprio orgoglio ma della propria rispettabilità, sta sparendo o viene dopo troppe altre cose. Tra difendere la propria onorabilità e un posto di potere i più hanno già scelto. Non c’ è figura più eloquente di questo decadimento morale della delega alle procedure giudiziarie del compito di accertare l’ onestà di una persona. Le procedure giudiziarie (pubblici ministeri, avvocati, udienze ecc.) accertano la sua posizione legale, ma quella morale non saranno le astuzie di un avvocato a garantirla, come non la compromette un’ eventuale condanna se affrontata a viso aperto e riconoscendo le proprie responsabilità. Oggi lo scrupolo morale e il senso dell’ onore si sono così affievoliti che si fanno coincidere con le risultanze di un processo, di manovre spesso burocratiche e cavillose (prescrizioni, legittimi impedimenti, ricusazioni, ecc.). Per cui, persino uno che ha stroncato in un istante tre giovani vite calcolai proei contro del suo comportamento processuale, piuttosto che il peso morale della sua colpa involontaria. Le sottigliezze avvocatesche prevalgono così su tutto e l’ esito giuridico tiene il luogo di un giudizio morale. Col risultato, che se uno, come Scajola, finisce sotto processo e poi viene condannato, ha perduto non solo la causa, ma anche l’ onore. Mentre questo, cui pure, dimettendosi da ministro (tra i pochi ad averlo fatto), aveva mostrato di tenere, poteva salvarlo con un umile gesto di sincerità e rispetto della legge.

Vittorio Coletti, la Repubblica – 18 dicembre 2011