Due pesi e un misurino

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Dalle nostre parti stanno smantellando quello che scherzosamente, altrove, ho chiamato “il cartello della Valle Prino”: coltivazioni più o meno piccole di marijuana gestite da giovani e meno giovani.
Ieri è stato fatto un passo avanti e hanno arrestato “la gang di Riva Ligure” che, si dice, avesse il controllo dello spaccio della cocaina e dell’hashish nel comprensorio di Riva Ligure, Santo Stefano e San Lorenzo, “fino a Imperia”.
Riporto l’articolo di Malcom Pagani apparso su il Fatto Quotidiano di ieri, così, tanto per far riflettere:

Lei crede davvero che le risse del sabato sera, le aggressioni selvagge sei contro uno per un colpo di clacson, le sparatorie nei centri urbani delle città e la violenza inconsulta che riempiono le cronache siano casuali o dipendano da uno Spritz troppo carico?”.
Marcello ha 39 anni, un lavoro sicuro, un nome diverso da quello con il quale si presenta “perché non mi vergogno di niente, ma mia moglie e i miei superiori non sarebbero contenti di vedermi sul giornale”, una storia come tante. “Pippa” da quasi 25 anni. Era una mattina di novembre nel centro di Roma, il portone del Liceo Ginnasio ancora socchiuso, un amico che gli propone di passare una giornata diversa. “I suoi genitori erano usciti, andammo a casa, la tirò fuori dalla stagnola e me la fece provare. Sembrava un borotalco opaco, un bianco inoffensivo. Fino ad allora avevo provato solo le canne. Le compravo a San Lorenzo, nella via dove l’Autonomia per anni dettò legge. C’era un ragazzo con un bidone della spazzatura a fianco. Sotto il coperchio, tante qualità di ‘fumo’. Accostavi in motorino, gli davi 50mila lire e ripartivi. La Polizia sapeva, ma chiudeva entrambi gli occhi”.
Con la cocaina fu diverso. Non vizio adolescenziale ma dipendenza definitiva: “A quell’età si ha paura di apparire deboli e bisogno di condividere anche le cazzate. Bisogna essere forti per rinunciare”. Marcello non lo fu e oggi, a un quarto di secolo, è ancora schiavo. “Credo che lo sarò per sempre, mi faccio quattro strisce al giorno. Una dopo colazione, per affrontare la giornata, in bagno, mentre mia figlia si prepara per la scuola.
Una a metà mattinata, le altre due di sera, stando attento a bere poco perché mischiare alcool e coca è pericoloso”. Marcello non si considera malato. Negli anni, dopo aver attraversato crisi depressive e aver chiesto aiuto agli specialisti, ha deciso di convivere con la “bamba”. “Ora, come certi insospettabili eroinomani, so controllarmi. È stato un percorso difficile, costellato da bugie e paranoia. Per sniffare servivano i soldi e i soldi, non bastavano mai”. Quindi furti ai genitori, motorini fatti sparire nella pancia degli sfasciacarrozze per ottenere i soldi dell’assicurazione, questue parentali. Nell’adolescenza di Marcello, “Naso d’argento” per chi conosce il suo segreto, la coca era la droga dei ricchi. 200, 250mila lire al grammo. Ne potevano servire anche cinque a settimana, uno stipendio dirigenziale, l’euforia indotta, la sensazione di onnipotenza nelle notti cittadine. “All’epoca bevevo per conquistare le ragazze, andavo in bagno, ne uscivo e mi sentivo un re”. Anni dopo, Marcello sostiene di essersi “regolamentato”, senza mai davvero desiderare di uscirne. “Mai pensato di farcela però a un certo punto, prima di ammazzarmi, risvegliarmi intorpidito, insultare il professore, dimenticare appuntamenti, compleanni e voglia di reagire, ho messo un freno a me stesso”. Il “freno, dice, è stato “far finta di essere normale”, cercando sostiene guardandoti negli occhi “di non rendere la coca scopo unico dell’esistenza”. Se a 18 anni osservava il declino di James Woods stravolto dal consumo e si chiedeva se un giorno potesse capitare a lui, dopo i 20, saltando l’università, a salvarlo è stato il lavoro.
La scoperta che al suo fianco, coperti dalla patina dell’apparenza e della rispettabilità sociale, migliaia di suoi simili condividevano il buco nero del
non detto. “La cocaina è ovunque, nelle corsie d’ospedale, nei tribunali, negli spogliatoi delle squadre di calcio e in Parlamento. Non è una giustificazione, ovviamente, ma spiega perché a differenza dei ‘tossici’ esiliati dal comune sentire degli anni 70, chi assume la polvere è totalmente accettato. C’è una complicità fortissima tra chi ne fa uso, una ‘generosità’ che mi permette di non rimanere mai senza.
Sono dipendente, è ovvio, ma è una dipendenza soprattutto psicologica. Non posso fare a meno dell’idea anche se da anni ormai, sono talmente assuefatto da regolarmi perfettamente nel recinto delle regole civili e da non avvertire neanche lontanamente la ‘scimmia’ degli inizi. Il mio non è un buon esempio, ma forse non è semplicemente niente, se non il racconto di un’esperienza personale. Se dicessi ai ventenni di oggi ‘salvatevi’, sarei un ipocrita. Se li dissuadessi dal provare, una voce inutile, aggiunta a tutte le altre. Di certo pippano ‘merda’, gesso mischiato alla coca, spazzatura. Pippano per poter dire ‘lo faccio anch’io’, per emulazione. Ma la morale non serve, proibizionismo e soloni hanno creato danni irreparabili, prenda la storia terribile di Milano. Quei due ragazzi uccisi a Porta Romana, la bimba salva per miracolo, ecco, la cocaina è diventata anche una scorciatoia
per illudersi di sopravvivere. Una sostituzione della realtà criminale, un hobby parallelo”. Da anni ormai, la giustizia non ha più notizie di Marcello. Venne fermato a 21 anni sulla Roma-Civitavecchia. Un controllo di routine, il guidatore eccessivamente nervoso, il cane della Finanza ad annusare, la denuncia per uso personale: “Pisciai per quasi un anno a intervalli regolari, bevendo litri di latte per occultare le tracce, diminuendo drasticamente l’uso in coincidenza con il controllo. Oggi, se devo viaggiare per lavoro, mi organizzo prima.
Telefonate discrete agli amici: “Ti passo a trovare”, messaggi cifrati che proteggano il vizio. Quello che sei disposto a rischiare a 20 anni, a 40 cambia di segno”.
Relativamente.
Malcom Pagani – il Fatto Quotidiano, 13 settembre 2012

Scritto da Angelo Amoretti

14 settembre, 2012 alle 15:56

Pubblicato in Attualità

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