Il collezionista di tempo [II]

10 commenti al post

Per gentile concessione dell’editore Sironi, anticipo in esclusiva un piccolo estratto del nuovo romanzo di Marino Magliani intitolato “Il collezionista di tempo” di cui avevo scritto in questo post e che a giorni sarà nelle librerie.

La strada per la valle era poco distante dalle palme.
Si mise bene sotto il lampione perché vedessero chi era e che portava una divisa. Alzò il dito. Quasi subito si fermò un pensionato.
Era un coldiretto di un paese vicino a San Rocco. Lo fece salire e gli chiese quanto gli mancava. Parlava in dialetto.
Rispose in dialetto che era finita. Era finita ieri. A volte anche le voci, i Gregorio parlavano in dialetto. Lukas mai. Quanti ritorni, pensò. E poi: ma non sei mai più tornato.
A ogni curva apparivano gruppi di case, luci di paesini e vigne, sui cui filari biancheggiavano nella notte le reti per la raccolta delle olive. Era per proteggere l’uva dalla grandine.
«E’ scesa?» chiese. Pensava a quel titolo. L’architettura del molo di Porto Maurizio.
«Qui poca roba, nel dianese ci ha fatto come in mano» aveva detto l’uomo.
E dalla grandine erano passati a parlare di olive, discorsi che l’avevano sempre dilaniato, parole fatte per gente che non era mai dovuta scappare. L’uomo disse che era un’annata discreta, ma vermavano, bisognava darci presto parecchio veleno, altrimenti per i Morti erano tutte per terra. S’era acceso una Nazionale senza filtro, impestava di fumo l’abitacolo. La teneva su un lato della bocca, il fumo gli usciva dalle narici.
«Salici a vedere in Robavilla, la carica dovresti averla…» disse sapendo dove suo padre aveva le campagne. E poi: «Tuo padre teneva le terre pulite come biliardi».
Sì, rispose, ci saliva e ci puliva, almeno sotto le piante che ne avevano.
Appena poté ripensare alle priorità, mise la mano sul borsone e premette nervosamente, cercando la saponetta di hashish. Lo nascondi nella casa vecchia, decise.
Era la casa col loggiato, nel carruggio, dove avevano vissuto prima che il padre terminasse di costruire la casa nuova sopra il paese. Sì, momentaneamente avrebbe nascosto l’hashish laggiù, anche se sarebbe stato meglio convincere Edoardo a farsi portare subito a cercare il tipo della Marina.
La luce dei fari restituiva squarci di canneti, frane e muri che conosceva a memoria. Un mondo che non aveva mai finito di franare. Ma non c’era tempo per rivedere le cose come quando tornava da bambino. Forse, se il giorno prima non avesse accettato di mettersi in borsa l’hashish…
Poi San Rocco. Uno strano ponte in salita, costruito in questo secolo, di fronte a un ponte di pietra in stile romanico, e le case con qualche palma intorno alla chiesetta di San Rocco, e le logge.
Il bar sotto la grande acacia. Seduti su muretti e sedie una dozzina di perdigiorno rimasti senza tedesche.
Si fece lasciare in cima al carruggio, dove da una parte erano case e dall’altra una ringhiera di ferro dava sugli orti. Posò il borsone e guardò la notte in faccia, oltre gli orti e il torrente, la sagoma chiara di un casone e la vigna di Anselmo.
«Sei arrivato» gli disse Lukas.
«Non me n’ero mai andato» rispose.

Scritto da Angelo Amoretti

6 aprile, 2007 alle 8:26

Pubblicato in Libri



    Articoli correlati:

    • Nessuno