Imperia: Vele d’epoca 2014

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Sul sito ufficiale della manifestazione potete trovare tutte le info necessarie.

Lo Zen e le mani di flatting
Torna a Imperia la rassegna dedicata alle imbarcazioni storiche capolavori di un’arte antica. Anche nella manutenzione

Giorgio Bertone per Il Secolo XIX
In principio Dio creò il flatting. Ce n’era bisogno. La consorte di Noè mugugnava per l’umido nella cucina dell’Arca. Le giraffe soffrivano di reumatismi.
Il flatting è una vernice speciale per imbarcazioni, impermeabilizzante e trasparente. Se ne vuoi vedere i mirabili effetti ancora oggi, in tempi di vetroresina (il più grande problema di smaltimento del futuro) puoi andare a un raduno di magnifiche “Vele d’epoca” come quello offerto da domani a domenica a Imperia, uno dei migliori stadi del vento nel Mediterraneo. Ammirerai in generale le vele, gli alberi, le linee filanti degli scafi,così diversi dalle barche da regata di oggi, che sembrano vetture di F1.
Ma non dimenticare di puntare l’occhio sulle parti in legno trattate a flatting. Croce ma anche soddisfazione e orgoglio infiniti di ogni marinaio che sappia tenere stretto almeno un trefolo di rapporto con la tradizione. Infiniti come il lavoro richiesto.
Questa vernice esalta le venature del legno e lo tiene ben separato da un nemico quasi invincibile, l’acqua di mare; che anche ad assaggiarla restituisce il sapore più corrosivo e angoscioso che l’uomo negli anfratti del suo subconscio atavico possa ritrovare.
Un cestino sulla banchina, vicino alla passerella, con o senza un cartello di invito a lasciare le scarpe prima di salire a bordo, suggerisce sommessamente quello che ognuno dovrebbe già sapere. In realtà suggerisce un’ansia. Quella di coloro che debbono sobbarcarsi tutte le rifiniture.
Ad ogni buon conto chiunque salga, anche solo per una visita, si ricordi del proverbio da cantiere di un popolo oceanico come quello australiano: “You start flatting counting at seven”. Traducibile con: “Quando dài le mani di flatting comincia a contare dopo la settima”. Ovvero, le prime sette non contano, l’ottava è la prima.
Paul Valéry diceva che il nostro senso del tempo e dell’eternità va mutando da quando vanno scomparendo mestieri manuali come quello dei marinai magari durante interminabili bonacce equatoriali.
Non è un caso che l’uomo moderno senta ogni tanto l’esigenza della riscoperta della lentezza.E di sapere che ne esistono ancora, di yacht simili, di vederne e ammirarne ancora.
Equesto senso che tutti provano di essere di fronte a un’ “arte bella”, – come Conrad chiamava l’universo delle barche da diporto -, è generato pure dall’avvertenza che il lavoro umano, duro, preciso, perito, contento di sé, si è concretizzato ed è ancora oggettivato e visibile nella “cosa”.Come in unq uadro ben fatto. Il Dio dei marinai e della vela sta nei dettagli.
Quando da ragazzi si lavorava sulle barche, ti lasciavano al massimo carteggiare. Lungo lavoro di olio di gomito e carta vetro, prima del 400, ruvida, poi del 1000, fina fina. Allora intervenivano gli specialisti del cantiere che usavano il pennello come uno strumento sacro, con abilità e segreti irraggiungibili; attraverso la mano fissavano allo scafo non un componente chimico con i suoi solventi, ma un’esperienza dello spirito. Ancor oggi uno dei momenti più affascinanti (ma c’è la regata, ehi) è scrutare, durante la navigazione di bolina, le onde del mare accarezzare l’antico legno verniciato, la doppia translucidità: prima l’acqua salata, limpida o marmorizzata a seconda della forza dell’onda, poi la perfetta trasparenza della vernice. Insomma, linee del mare sopra linee del legno. Un miracolo dell’arte umana, irripetibile in altre situazioni. Perciò un meeting di simili barche è sempre un’esperienza unica per chi ha il respiro necessario a coglierne l’essenza.
Certo, le vele non sono più di cotone neppure qui, ma di dacron. Le scotte e le cime (le corde di manovra), non sono più di canapa, ma di sintetico. Anzi, qualche ditta le propone pure in dyneema, una fibra artificiale fortissima, ricoperta per l’occasione di canapa. Effetto “anticato”. Ciò non evita un inconveniente, che rende più sapide le regate: l’attrezzatura e le fibre moderne non sono elastiche come quelle dei tempi dei clipper di Conrad. Dunque sotto raffica sottopongono gli alberi, costruiti in lamellare di legno incollato, a sforzi immediati e più intensi. Lacrime e sangue e orgoglio per gli equipaggi, a volte privi dell’aiuto dei winch (verricelli), dunque capaci di manovrare a forza di braccia. Fuori delle regate,che durano poche ore, c’è chi naviga e manutiene contemporaneamente, come nella marineria classica. Durante le crociere imbarcazioni simili hanno bisogno di cure continue.
Se non la più lunga, la più straordinaria navigazione che io abbia ammirato è quella di Time Pauline Carr, che con un 20 metri, basso di bordo e a vele auriche, sono partiti nel 2009 da Malta per arrivare nell’Oceano Antartico (South Georgia), lavorando di timone, terzaroli e pennello. Arrivati nell’isola di ghiaccio, dove rimasero per un anno, “già che erano lì”,come si dice a bordo, restaurarono anche la minichiesetta dei balenieri norvegesi, abbandonata da tempo. Il loro libro (ormai raro:“Antarctic Oasis. Under the spell of South Georgia”) non dovrebbe mancare nella libreria di poppa, tra la collezione di brandy e le carte nautiche, in ogni barca d’epoca che si rispetti.

Scritto da Angelo Amoretti

9 settembre, 2014 alle 17:36