SAD CITY – di E. Stark – Settima puntata

senza commenti

Ai tempi del militare ero stato un buon tiratore, ma da allora non avevo più preso una pistola in mano.
Per quello che dovevo farne in fondo non serviva una gran mira, serviva solo tanta freddezza e io ne avevo da vendere. Controllai solo che tutti i meccanismi della Beretta fossero a posto e la sera dopo mi preparai a fare ciò che mi portavo dentro da quasi un anno: sparare nei coglioni a Garden.
Garden era un vigile che mi aveva multato perchè in scooter ero senza casco. Avevo appena messo in modo, nella via centrale di Sad City, per tornarmene a casa, pensavo ad altro e avevo dimenticato di indossarlo. Sicuramente me ne sarei accorto subito, ma lui prima che uscissi fuori dal parcheggio era già lì a chiedermi patente e libretto. Le discussioni erano state inutili, non c’era stato verso di convincerlo che magari, fuori dal parcheggio mi sarei accorto della mia mancanza e avrei provveduto. Mi aveva fatto la multa più salata che potesse esserci ed ero tornato a casa incazzato come una iena. Possibile, mi dicevo, che con tutti i vigili che conosco in città dovesse capitarmi proprio il più stronzo?
Oltretutto non lo conoscevo affatto, doveva essere nuovo. Mi aveva trattato con un’arroganza indescrivibile, mi ero sentito umiliato lì davanti a tutti.
Giorni dopo cominciai a fare le mie indagini e venni a sapere dove abitava. Era un tipo metodico: usciva dalla Centrale alle sei di sera e andava a casa dalla sua giovane mogliettina e generalmente rimaneva nelle sue quattro mura domestiche, a parte i fine settimana. Abitava in una villetta in collina, a ovest di Sad City, dove le case distano almeno cinquecento metri una dall’altra.
Per qualche sera rimasi in macchina ad aspettare: intorno alle nove usciva a portare l’immondizia nei bidoni a un centinaio di metri da casa sua.
Era lì che lo avrei affrontato.
Parcheggiai la macchina lontano e quando lo vidi uscire di casa, scesi e mi misi alle sue costole.
Si accorse di essere seguito, ma non fece in tempo a vedermi in viso perchè appena si voltò dalla Beretta partirono due colpi diretti verso il basso ventre. Cadde a terra senza fiatare, quasi stupito e incredulo. Corsi verso la macchina e quando misi in moto, le sue grida mi giunsero alle orecchie, ma prima che qualcuno potesse essere da lui io ero già a qualche chilometro di distanza, sulla strada di campagna che portava vicino casa mia.
Fermai nei pressi di una vigna semi abbandonata. Sapevo che c’era un pozzo che una volta veniva sfruttato per irrigare le viti. Era coperto dagli arbusti che ancora non superavano la recinzione. Gettai la pistola lì dentro dove difficilmente sarebbero venuti a cercarla, e me ne andai a casa.
Avevo sparato a Garden nei coglioni.
Giorni dopo sui giornali locali lessi che si stava indagando nei giri della mala e che Garden stava bene, ma non avrebbe mai più potuto avere figli.

Scritto da Angelo Amoretti

30 ottobre, 2005 alle 16:30

Pubblicato in Racconti



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