L’uomo di cemento

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Su Il Manifesto del 22 febbraio scorso c’è un articolo di Marco d’Eramo dal titolo “Il golf s’ingolfa, la terra ringrazia” che parla del calo di questo sport negli Stati Uniti d’America.
E’ una notizia riportata dal New York Times: da sei anni la pratica del golf è in declino negli Usa. Lo sport per eccellenza dei super ricchi e dei banchieri perde colpi. Nel 2000 i golfisti in Usa erano 30 milioni, oggi sono 26 milioni (il 13% in meno). Ancor più rilevante è il declino dei golfisti accaniti, quelli che giocano almeno 25 volte l’anno: da 6,9 milioni si è passati a 4,6 (-30%).
Così, oltre alla bolla edilizia, si sta sgonfiando anche quella del golf. Gli speculatori infatti avevano scommesso sui “baby boomers” pensionati e tra il 1990 e il 2003 avevano allestito più di 3.000 campi da golf, portandone il totale a 16.000. E oggi li offrono in saldo a centinaia.
Il perché del declino non è del tutto chiaro. In Usa tutti gli sport all’aperto perdono colpi, forse per i videogiochi o il troppo tempo che si perde davanti al computer. Può darsi che sia colpa del crollo della e-economy nel 2000 e dei venti della recessione che soffiano adesso.
C’è chi sostiene che il crollo del golf sia dovuto all’eccessiva durata di una partita: circa 4 ore per 18 buche, o chi dice che il golf non è più uno status symbol: è diventato troppo democratico per uno sport nato per distinguere chi si poteva permettere di sottrarre enormi appezzamenti di terreno agli usi produttivi (agricoltura e allevamento) per adibirli a mero consumo.
L’articolo di d’Eramo conclude dicendo che a tirare un sospiro di sollievo è il pianeta terra, soprattutto in California, Nevada, Arizona e New Mexico, dove inimmaginabili fiumane d’acqua vengono sprecate per mantenere nel deserto pietroso distese di erbetta verde brillante.
Qua dalle nostre parti, è noto, siamo arretrati rispetto agli Stati Uniti di una ventina d’anni e il golf non conosce ancora questa crisi: anzi, da nove buche si vuol passare a diciotto, al golf di Castellaro, per dire, e probabilmente gli statunitensi verranno a giocare qui.
E il pianeta Terra, nel profondo nord ovest italiano, dovrà aspettare una ventina d’anni per tirare un sospiro di sollievo.

Sabato 8 marzo a Imperia presso l’Antica Compagnia Portuale di Oneglia, verrà proiettato “L’uomo di cemento”, documentario realizzato dal regista Franco Revelli e sponsorizzato da “Legambiente Valle Argentina” per denunciare le speculazioni edilizie e lo sfruttamento selvaggio del territorio a danno di chi ci è nato, ci vive e ci lavora.

Scritto da Angelo Amoretti

1 marzo, 2008 alle 12:50