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Casa al Colosseo: assolto l’on. Claudio Scajola [II]

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Queste sono le immagini delle prime pagine di Libero e il Giornale di cui Travaglio scrive nel suo fondo odierno, le avevo usate in questo post.

Adesso si sperticano per “l’amico ritrovato” che, tra l’altro, finalmente si sente libero di parlare e, di conseguenza, di farmi tornare il buonumore.
I giornalisti saranno “spocchiosi” e “supponenti” (come dice qualcuno), ma, come disse tempo fa a Ospedaletti il Procuratore Cavallone “riportano le notizie”.

E le notizie sono in mostra nelle locandine delle edicole, tipo: “Al treno deragliato ora ci penso io”.
E motivo di studio sarebbe anche quello di sapere come diavolo ha passato questi tre anni e mezzo visto che da una parte si legge che “Questa assoluzione piena mi ha in parte ripagato dei tre anni e nove mesi in cui ho perso il sonno e mi è stata rovinata la vita” [Il Secolo XIX, 28 gennaio 2014] e dall’altra “Sono sempre stato sereno” [Il Secolo XIX di oggi] quindi dormiva o si arrampicava sui muri?
Detto questo e sebbene qua sotto troviate l’articolo di Travaglio, c’è un aspetto che secondo me nessuno ha voglia di approfondire e che è parte di quei livelli superiori di cui parlavo in un post precedente. Io sono sempre più dell’idea che qualcuno abbia voluto far pagare qualcosa al nostro eroe che è sì vanitoso e ingenuo, ma che faceva parte di un ingranaggio a lui sconosciuto (quello a un livello più alto di lui e Anemone, per capirci).
Perché al primo livello c’è da divertirsi, ma a quelli più alti c’è da stare attenti. Non mi sono “convertito”, cerco di stare in mezzo alle colonne che reggono il baraccone.

Gli insaputi

A leggere i giornali e a vedere i tg, pare che un bel mattino di quattro anni fa i magistrati cattivi si siano svegliati e abbiano deciso di inquisire il povero Scajola, costringendolo a dimettersi da ministro in combutta con la stampa forcaiola e i mastini giustizialisti del Pd, malgrado la strenua difesa di B. & C. In realtà il 24 aprile 2010 Repubblica rivelò che la Procura di Perugia, indagando sulla Cricca della Protezione civile, si era imbattuta in 900 mila euro pagati da Anemone tramite Zampolini per pagare dueterzi di casa Scajola. La segnalazione era partita da Bankitalia, insospettita dagli 80 assegni circolari da 12.500 euro ciascuno astutamente usati per l’operazione. Scajola fece sapere che aveva pagato tutto lui, minacciò querele e precisò di non essere indagato. In effetti, né allora né mai i pm di Perugia lo iscrissero nel registro (era competente la Procura di Roma, che se la prese comoda e lo indagò solo il 29 agosto 2011). Eppure, dopo una settimana di afonia perché non sapeva che dire, Scajola si dimise il 4 maggio 2010. Per motivi non giudiziari (inesistenti), ma di opportunità,che avevano indotto persino il Giornale a chiedergli di sloggiare con un editoriale di Vittorio Feltri (“Chiarisca o si dimetta”): “Se non ha niente da dire oltre a ciò che ha detto, le conviene rassegnarsi. Anzi, rassegnare le dimissioni…Qui c’è sotto qualcosa di poco chiaro, per essere gentili… È verosimile che lei non sapesse nulla degli assegni? Mica tanto. L’opinione pubblica è scossa… dalle testimonianze di Zampolini e delle sorelle Papa (le venditrici dell’immobile, ndr). Perché dovrebbero mentire?”.
Lo capì financo Scajola, in una memorabile conferenza stampa senza domande: “Per esercitare la politica, che è un’arte nobile con la P maiuscola, bisogna avere le carte in regola e non avere sospetti”. Poi se ne uscì con la frase che inaugurò il filone satirico dell’insaputismo: “Mi dimetto perché non potrei, come ministro, abitare in una casa pagata in parte da altri senza saperne il motivo”.
Mentre i giornalisti presenti si sganasciavano e quelli della stampa estera pensavano a un errore di traduzione, il premier B. disse in Consiglio dei ministri che Scajola era “indifendibile” perché “quello delle case è un tema che colpisce molto la gente: se uno compra una casa che vale 1 milione e 800 mila euro e la paga 600 mila, c’è qualcosa che non va. E se non può spiegare agli italiani il perché, deve dimettersi”.
Il Cainano avviò persino sue personali indagini, come narravano entusiasti i suoi house organ.
“Adesso indaga Berlusconi”, titolava il Giornale: “Vuole individuare le mele marce. Sta studiando personalmente le carte dell’inchiesta sui grandi appalti: ‘Chiederò spiegazioni a tutti. Nessuna indulgenza per chi ha sbagliato. L’arricchimento personale è inaccettabile’”. Libero lo descriveva “sfinito”, “chiuso in casa”, dove “riceve in pigiama”, “ fa il pm e interroga i suoi: ‘Ditemi la verità… C’è chi s’è arricchito alle mie spalle. Chi ha sbagliato pagherà’”. Belpietro plaudiva alla svolta giustizialista (tranquilli però, “non mi sono convertito al travaglismo”). Sallusti lo scavalcava in manettismo: “Il Presidente sa bene che gli elettori si infuriano di fronte ai privilegi che riguardano la vita privata, a partire dalla casa.
Per questo ha usato parole molto dure, mai pronunciate prima: chi ha sbagliato deve pagare e lasciare incarichi e ministeri. Scajola insegna…
Una convinzione che si è fatto dopo aver indagato a fondo ed esser giunto alla conclusione che è possibile che nel governo o nelle sue vicinanze ci possa essere qualche ladro di polli, che mette a rischio la credibilità politica di tutti. Meglio fare pulizia e pure in fretta”. Ora, dopo l’assoluzione in un processo che ha confermato tutti fatti già noti nel 2009, Libero titola un’intervista strappalacrime al perseguitato: “Io, dato in pasto al tribunale del popolo”. E il Giornale, profittando della smemoratezza generale: “Toghe intimidatorie”, “Scajola assolto: l’indagine gli costò il ministero”. E il Foglio: “Le nostre scuse a Scajola”.
Ma andè a ciapa’ i ratt.

Marco Travaglio – il Fatto Quotidiano, 29 gennaio 2014

Scritto da Angelo Amoretti

29 gennaio, 2014 alle 13:12

Casa al Colosseo: assolto l’on. Claudio Scajola

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Sull’assoluzione di Scajola si è già detto di tutto ovunque, perciò di mio ci metto solo la frase che un’amica mi ha detto la scorsa settimana:

Vedrai che ci ritroveremo Scajola e Strescino a far campagna elettorale sottobraccio“.
Insieme a qualcun altro di nostra conoscenza“, ho aggiunto io.

E riporto di seguito l’articolo di Marco Travaglio apparso su il Fatto Quotidiano di oggi:

Dunque, per il Tribunale di Roma, Claudio Scajola è innocente a sua insaputa (s’era dimesso, ma l’hanno assolto). E all’insaputa di Berlusconi (aveva preteso le sue dimissioni da ministro e, proprio dopo quello scandalo, aveva violentato se stesso annunciando una legge anticorruzione). E perfino all’insaputa dei complici (l’architetto Angelo Zampolini, che ha patteggiato la pena, e il costruttore della Cricca Diego Anemone, che se l’è cavata solo per prescrizione).
Ma l’aspetto più paradossale di questa sentenza paradossale che chiude (almeno in primo grado) una vicenda paradossale, è che potrebbe essere molto meno scandalosa di quanto appaia. Anzi, potrebbe essere addirittura in linea con la legge italiana sull’illecito finanziamento ai partiti. In attesa delle motivazioni della sentenza, che comunque si annunciano avvincenti, si può solo tirare a indovinare come abbia potuto il giudice stabilire che, per un deputato e ministro dell’Interno, beneficiare di 1 milione e passa versati in nero da imprenditori che lavorano per il suo ministero, “non costituisce reato”. Quel che è certo è che la legge del 1974 sul finanziamento ai partiti, essendo stata scritta dai partiti, è piena di buchi e scappatoie, almeno per i partiti. Tutto ruota intorno al “dolo”: l’intenzione di violare la legge. Che, naturalmente, va dimostrato. Il politico foraggiato può sostenere – e infatti di solito sostiene – di non sapere che il finanziamento provenisse dai fondi neri di una società di capitali senza deliberazione dell’organo societario competente e senza l’iscrizione a bilancio: pensava che l’imprenditore avesse preso i soldi dal suo patrimonio personale. In teoria, se non ci sono prove che lo smentiscano e se il giudice è particolarmente generoso o credulone, viene assolto. Potrebbe essere il caso di Scajola. Un caso comunque eccezionale, perché di solito la condanna scatta lo stesso per “dolo eventuale”: se il politico non ha verificato la provenienza del finanziamento, ha accettato il rischio che uscisse dalla società del finanziatore. Il quale fra l’altro, per pagarlo fuoribusta, ha dovuto accumulare fondi neri e farli uscire dalle casse dell’azienda (aggiungendo al finanziamento illecito i reati di falso in bilancio, frode fiscale e appropriazione indebita).
Scajola è stato più fortunato: non verificò, comprò una casa con vista Colosseo pagandola un terzo del suo valore, e al resto provvidero i costruttori, ma il giudice lo esime dal dolo. Un’altra possibile spiegazione è che sia riuscito a convincere il Tribunale della sua versione che tanto buonumore suscitò a suo tempo in Italia e nel mondo: al compromesso con le proprietarie dell’immobile, non era presente nell’ufficio del notaio quando Zampolini arrivò con gli assegni circolari; dunque non si accorse che l’appartamento costava il triplo della somma versata da lui e che il resto l’avevano pagato altri, dunque anche in questo caso il suo “dolo” non c’è. Se il giudice si fosse bevuto una storia così comica bisognerebbe complimentarsi con lui per il suo spiccato sense of  humour. Ma questo lo sapremo solo al deposito della motivazione. Per ora sappiamo solo che “il fatto”, anche se per il primo giudice “non costituisce reato”, è assolutamente certo: Scajola (lo spieghiamo a pag. 5) acquistò un mega-appartamento in una delle zone più chic di Roma pagandone un terzo, mentre il resto lo versarono due costruttori che avevano appena beneficiato di due contratti senza gara dal suo ministero. Il che basterebbe e avanzerebbe, in un paese serio, per farlo scomparire dalla circolazione per sempre. E per mettere subito mano alla legge sul finanziamento illecito per renderla più severa, tappando la falla che ha consentito a Scajola di farla franca. Invece siamo in Italia, dunque Scajola – anziché accendere un cero alla Madonna – fa pure il martire, piagnucola per i “quattro anni di sofferenza”, esulta perché “giustizia è fatta” e chiede che “mi venga restituita la mia credibilità politica”. Restituire quel milioncino no, eh?

Marco Travaglio – il Fatto Quotidiano, 28 gennaio 2014

Scritto da Angelo Amoretti

28 gennaio, 2014 alle 16:03