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In morte di Marco Amoretti

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Qualche giorno fa Marco Amoretti ha deciso di farla finita e si è gettato dalla finestra dell’appartamento in cui abitava.
So che per i media è sempre un tema delicato, ma in ogni caso la notizia è stata riportata da quelli nostrani e, a parte chi non ha indicato nome e cognome o chi solo le iniziali; la via in cui si è consumata la tragedia e chi no, tutti hanno scritto che Marco “soffriva di depressione” e qualcuno che era “molto introverso“.
Non sono uno psicologo, ma credo che non occorra esserlo per capire che se una persona decide di togliersi la vita, significa che non se la sta passando bene.
E allora si potrebbe evitare di scrivere la frase di circostanza “soffriva di crisi depressive“: si vuol dare la notizia? Si dia, ma si eviti di scrivere cose che portano chi non lo conosceva a pensare che il soggetto fosse una specie di “disadattato”.
O, al limite, si cerchi di capire (e far capire a chi legge) il perché di un gesto così estremo che, tra l’altro, mi ricorda tanto quello di un mio parente, avvenuto  dalle parti di Cian Zerbo, qualche anno fa.
Anche lui soffriva di “crisi depressive”, ma chiedetelo a chi lavorava con lui [qui] a cosa fossero dovute.
E chiedetelo a quelli che lavoravano con Marco, ma a quelli che gli erano vicino, non a un collega o un funzionario qualsiasi: forse capirete un po’ meglio. Capirete che le crisi depressive possono derivare sì dalla perdita di un parente stretto (il padre o la madre; un figlio); da un divorzio o dalla separazione da una persona che si amava, ma può anche derivare da come ti senti trattato al lavoro, per dire.

Scritto da Angelo Amoretti

25 novembre, 2013 alle 15:29