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Lo scrittore Marino Magliani intervista Daniele La Corte

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Impressioni e qualche domanda a Daniele La Corte, autore di “La casa di Geppe”.

Non fosse per quel paesaggio collinare e i tempi della Resistenza che informano fin da subito sul dove siamo e cosa succede, e sulla povertà delle campagne piemontesi che appaiono come se si leggessero epiche fenogliane o le fughe a schiena bassa tra i filari che ci ha lasciato Pavese, di primo acchito la figura di Geppe potrebbe ricordare i romanzi di Emanuel Bove. Certo, qui manca la città che stritola, come manca la tenaglia dell’angoscia esistenziale, ma è quel Geppe perdente, orfano, maltrattato fin da bambino, a legarsi in modo così naturale a una certa letteratura. Noi conosciamo Geppe che è un giovane contadino, vivente del poco che danno la campagna e le bestie, e quel poco bisogna dividerlo coi proprietari della cascina. (Sia chiaro, il prezzo di questo libro lo vale da solo l’attento studio antropologico di La Corte: sembra di leggere “Il mondo dei vinti”, di Nuto Revelli, con le sue frasi in dialetto piemuntais e le testonianze “in presa diretta” dei braccianti.) Ma sono poche pagine, quelle del Geppe perdedor intendo, perché quando entrano in gioco Carmen e Pablo entra in gioco la storia, o la Storia. E allora, a quel punto, è come se a Geppe, persona mai coinvolta in fatti notevoli, fosse chiesto di “fare qualcosa”.
Faccia qualcosa” chiede la signora Delgado a Pereira sul treno, tornando a Lisboa, mentre stanno nel vagone ristorante a guardare il paesaggio del Tago. Faccia qualcosa per il Portogallo, intende la signora Delgado, per la libertà del Portogallo oppresso dal salazarismo, qualcosa per far cessare quest’aria di morte. Di nuovo, quante somiglianze, pur in tutt’altre trame e genesi, pur forzando, quanta letteratura che lascia respirare libertà. Leggete infatti La casa di Geppe e dite se quando si presentano a noi Carmen e Pablo non è come se avessimo davanti Monteiro Rossi e Marta di “Sostiene Pereira”? Entrambi giovani e perseguitati dal fascismo, entrambi uniti dall’amore – anche se i giovani di “Sostiene Pereira” sono portoghesi e mezzi italiani – per la causa repubblicana spagnola. Entrambi uniti da un destino che non riveleremo, ecco, dunque, che in sostanza, benché uno sia un cittadino, un intellettuale, giornalista, cattolico, cardiopatico con una vita che scorre nel ricordo di una moglie morta, e l’altro un relitto della campagna calpestatata nei secoli, Pereira e Geppe finiscono per scegliere di stare dalla stessa parte. Geppe si mette in gioco proteggendo la coppia di giovani fuggiaschi spagnoli e dando copertura a Henry, (inglese, antifascista, e agente, che entrerà in contatto con la Resistenza) e nascondendo la sua moto Norton. E il romanzo si chiuderà con la fine della guerra di Liberazione. Anzi, con una domanda.

Nell’introduzione si parla di microcosmo, ma a parte la vita del paese, con podestà, fascisti e antifascisti e gente che sta a guardare, e persino un prete (non assomiglia al padre António che discute con Pereira sulle posizioni di Mauriac e Bernanos, ma don Giustino è comunque un antifascista quanto lo è padre António ed è anche molto pratico: per farsi passare le informazioni chiede a Geppe se vuole confessarsi), a parte quella chiusura iniziale di luoghi, dopo un po’ gli spazi si aprono a ventaglio, e dal Piemonte si cala in Liguria come se si calasse nella nostra, di Storia. Si cala in quello che è il nostro microcosmo, popolato dalle nostre icone.
Ventuno capitoli che raccontano i venti mesi, Daniele La Corte, con salti in Spagna ai tempi dei terrori falangisti, con pagine sul pallone elastico e la Liguria, si diceva, tanta Liguria, con i miti che noi tutti (la grande parte) riconosciamo, come Felice Cascione, Silvio Bonfante e persino leggende viventi come Carlo Trucco, e una sezione iconografica che mostra un Trucco roccioso e solare.

Quando è nata questa storia?

L’idea di Geppe nasce dai ricordi dell’infanzia. Mia madre, monregalese, mi ha sempre raccontato la realtà di un mondo diverso da quello che vivevo io nato davanti al mare di Alassio. È la voglia di non dimenticare, di non strappare le radici dove una parte della mia famiglia, quella materna appunto, aveva visto il succedersi di eventi tragici e spesso discordanti tra loro. I racconti che avevano come teatro l’ambiente bucolico di un Piemonte attraversato da situazioni difficili mi ha sempre affascinato. Geppe è un personaggio che prende corpo da una memoria viva, dal contadino che avevo visto più volte lavorare nella stalla di miei parenti proprietari di cascine e bestiame. Così nel mix di ricordi ho cercato di dar vita a un personaggio frutto di realtà e fantasia. Nel settantesimo anniversario della Liberazione ho pensato di cimentarmi in un romanzo che possa, mi auguro, avvicinare più facilmente i giovani alla Storia del nostro Paese diventato libero grazie alla Resistenza.

Il romanzo è impreziosito da un’intelligente prefazione di Giancarlo Caselli. Come è nata questa collaborazione?

La legalità è da sempre il mio chiodo fisso e Geppe, nella mia testa, rappresenta, o almeno dovrebbe rappresentare il senso civico di chi, anche povero e diseredato, tiene la schiena dritta. Ecco perché ho chiesto al dottor Caselli, che più volte ho intervistato nella mia vita di cronista, se voleva darmi il suo contributo per un lavoro all’insegna della legalita contro ogni sopruso. Giancarlo Caselli è un’icona contro la mafia, contro lo strapotere del malaffare, simbolo dei magistrati coraggiosi che il potere ha cercato, in diversi modi, di bloccare. Ci sono riusciti bloccandogli la carriera con una legge ad personam, ma non sono riusciti, neppure oggi, a bloccargli la parola è la forza di essere uomo libero vessillo della legalità

Di tuo avevo guardato Storie di uomini e di donne (Calvo editore, 1995). Me l’aveva regalato un grande amico, scomparso da alcuni anni, ma ben presente e molto amato da questa città. Si tratta di Franco Pullia, che pubblicava i suoi saggi con il Centro Editoriale Imperiese di Emilia Ferrari. Ebbene, ricordo che anche in quel tuo libro rivivevano i racconti partigiani. E la cosa che più mi aveva impressionato era stata la forza di una lingua fedelissima, apparentemente semplice, ma molto sorvegliata. Io la conoscevo bene: era la lingua che ascoltavo da bambino, negli anni sessanta, seduto sui muretti del carruggio, gli occhi alti, sulle pietraie che circondano Pistuna, lassù dove cadeva la luce e restava un fuoco a divorare le stagioni. Raccontaci la lingua di La casa di Geppe.

È il fulcro del dialogo di persone di cultura e nazionalità diverse che hanno come base la forte volontà di strappare le catene che impedivano libertà di espressione di movimento. Il cocktail di lingue, il misto di spagnolo, inglese e stentato italiano sono per me l’immagine fantastica di un’Europa che metteva già allora fondamenta salde per l’unione tra i popoli. Geppe è l’Italia che si scrolla da dosso il giogo nazifascista, il nazionalismo anacronistico e insulso dell’uomo solo al comando.

E adesso?

La domanda non trova facile risposta. Ciò che Geppe e gli altri cercavano ha lasciato molti con la bocca amara. L’Unità tra i popoli non si è avverata e la globalizzazione si è sostituita, in maniera abnorme, all’individualità dei singoli che per l’Italia libera e democratica hanno dato la vita. Forse, come Geppe, ci aspettavamo di più sperando che il Paese crescesse non solo economicamente ma anche culturalmente. Ai tanti Geppe sparsi per il mondo auguro la scoperta di una casa comune dalle pareti di vetro dove il governo sia veramente del popolo e non di un nutrito gruppo di parassiti pronti a sfruttare il lavoro del più debole.

Scritto da Angelo Amoretti

18 aprile, 2015 alle 15:19

Il Partigiano di Piazza dei Martiri

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Sabato 18 ottobre 2014, alle ore 17, presso la Sala Convegni dell’ex Palazzo Comunale, in Piazza Dante,4, Imperia, sarà presentato il libro di Enzo Barnabà “Il Partigiano di Piazza dei Martiri”.
Sarà presente l’autore.
Introduzione di Giovanni Rainisio, Presidente dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’età contemporanea di Imperia.

Al centro della vicenda c’è il partigiano Salvatore Cacciatore, detto “Ciro”, giovane siciliano che lasciò il seminario poco prima di prendere i voti per andare a combattere in Africa, poi a Pordenone. Soggiornò per un periodo in Carnia ad Ampezzo ospite di Elio Martinis (Furore). Tra il 1943 e il 1945 combatte nelle file partigiane e viene impiccato con tre compagni di lotta ai lampioni della piazza centrale di Belluno. È il 17 marzo 1945; da allora quel luogo si chiama Piazza dei Martiri. In questo libro c’è la sua storia, quella del movimento di liberazione nel Nord Italia e le vicende di un figlio alla ricerca del padre.

Enzo Barnabà, è nato a Valguarnera (Enna) nel 1944. Ha insegnato lingua e letteratura francese in Veneto e Liguria. Col ministero degli Esteri ha insegnato presso le Università di Aix-en-Provence, Abidjan, Scutari e Nikšic´. Vive in Liguria. Ha pubblicato 15 libri in italiano e francese, tra i quali Sortilegi (con Serge Latouche), Bollati Boringhieri, 2008 e Morte agli Italiani!, Infinito edizioni, 2010 con Prefazione di Gian Antonio Stella e Introduzione di Alessandro Natta.

Scritto da Angelo Amoretti

15 ottobre, 2014 alle 18:00

Pubblicato in Eventi, Libri

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25 Aprile

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25 Aprile

Lo avrai
camerata Kesselring
il monumento che pretendi da noi italiani
ma con che pietra si costruirà
a deciderlo tocca a noi.

Non coi sassi affumicati
dei borghi inermi straziati dal tuo sterminio
non colla terra dei cimiteri
dove i nostri compagni giovinetti
riposano in serenità
non colla neve inviolata delle montagne
che per due inverni ti sfidarono
non colla primavera di queste valli
che ti videro fuggire.

Ma soltanto col silenzio del torturati
più duro d’ogni macigno
soltanto con la roccia di questo patto
giurato fra uomini liberi
che volontari si adunarono
per dignità e non per odio
decisi a riscattare
la vergogna e il terrore del mondo.

Su queste strade se vorrai tornare
ai nostri posti ci ritroverai
morti e vivi collo stesso impegno
popolo serrato intorno al monumento
che si chiama
ora e sempre
RESISTENZA
Piero Calamandrei

Scritto da Angelo Amoretti

24 aprile, 2011 alle 22:38

Ricordo dei partigiani caduti in alta Valprino

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Il Gruppo Ecologico Val Prino organizza per sabato 29 gennaio 2011 una commemorazione dei partigiani caduti durante le rappresaglie nazifasciste avvenute nei mesi di gennaio e febbraio 1945 in alta Valprino.

Ecco il programma:

Ore 10.00 ritrovo presso monumento posto fra le frazioni di Tavole e Villa Talla

Ore 10.30 Santa Messa con la benedizione dei Caduti

Ore 11,00 Ricordo dei fatti del Prof. Moriani

Ore 11.30 Saluto del presidente

Scritto da Angelo Amoretti

27 gennaio, 2011 alle 22:33

Chi non vuole chinare la testa…

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Questa mattina, al Cinema Centrale, nell’ambito degli eventi per la ricorrenza del 25 aprile, giorno della Liberazione dal nazifascismo avvenuta sessantacinque anni fa per opera dei Partigiani e degli Alleati, è stato proiettato in anteprima assoluta il documentario di Remo Schellino “Chi non vuole chinare la testa, con noi prenda la strada dei monti” [dal Canto della Resistenza "Oltre il ponte" scritto da Italo Calvino e Sergio Liberovici nda] .
Nel post precedente scrivevo che sarebbe stato bello trovarci qualche scolaresca e con grande sorpresa ho trovato la sala strapiena di studenti che disciplinatamente hanno assistito ai vari discorsi e alla proiezione del documentario.
Valeria Anfossi non c’era: nel post precedente avevo scritto “il sindaco di Garessio” ma un visitatore mi ha fatto notare che ora la signora non è più sindaco, ma all’opposizione., e lo ringrazio.  C’erano Remo Schellino, l’onorevole Manfredo Manfredi che è presidente dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età contemporanea, e Ezio Lavezzi, presidente dell’ANPI di Imperia.
Tutto molto suggestivo, ma siccome sono un rompiscatole, voglio fare due appunti: uno al regista e l’altro all’onorevole Manfredi che pure aveva scritto una lettera molto interessante al Sindaco Strescino.

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Scritto da Angelo Amoretti

23 aprile, 2010 alle 19:03

Pubblicato in Cinema, Eventi

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Riflessioni per un futuro migliore

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E’ da qualche giorno che ho in mente questo post, ma per un motivo o per l’altro, non sono riuscito a scriverlo.
Anche perché non so da che parte iniziare e rischia di essere un po’ disordinato, perciò vi chiedo scusa fin d’ora.
Si tratta comunque di una riflessione sul dopo voto e su cosa farei, a livello locale, in vista dei prossimi appuntamenti elettorali, comprese le elezioni politiche.
Partiamo da un presupposto: probabilmente molti di voi che mi leggono mi hanno votato alle scorse elezioni provinciali, altrettanti non hanno potuto farlo perché in collegi diversi.
Il mio appello è rivolto a voi che probabilmente, a parte coloro che hanno votato per l’Italia dei Valori in sé, mi avete dato la vostra preferenza perché mi avete conosciuto anche attraverso il blog.
Adesso è venuto il momento di voltare pagina e guardare avanti. Come sapete ero nelle liste dell’IdV come indipendente, quindi vi prego di leggermi con lo stesso spirito con cui mi avete letto fino a un mesetto prima delle elezioni. Questo per dirvi che non dovete farvi influenzare dal fatto che per un mese vicino alla mia faccia ci sia stato il simbolo dell’IdV. Sia chiaro: sono orgoglioso di aver fatto parte di quella compagine ed è stata una bella esperienza che mi ha permesso di conoscere meglio Dario Dal Mut, Mauro Delucis, gli altri candidati e gli iscritti del circolo Falcone e Borsellino di Cervo.
L’appello che intendo fare è rivolto a tutti, anche a chi, tra chi mi segue, non ha votato né me, né l’IdV. Continua a leggere

Scritto da Angelo Amoretti

4 aprile, 2010 alle 22:12

25 aprile

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La Regione Liguria, per commemorare il 25 aprile, ha usato una foto, tra l’altro già falsa di per sé, prontamente contestata da il Giornale in quanto “privata” di una pistola e una bomba a mano.
Burlando si è giustificato dicendo che probabilmente i creativi della Regione non volevano contribuire a incitare all’odio [la vicenda è stata raccontata da Il Secolo XIX].
Io invece la pubblico con orgoglio perché è con le pistole e le bombe a mano che l’Italia è stata liberata dal nazifascismo, non con le parole.

Scritto da Angelo Amoretti

25 aprile, 2009 alle 9:30

Cinema e teatro al Bajazzo

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Al teatro Bajazzo, in via Carducci 36, Porto Maurizio, l’Associazione “L’Attrito” presenta:

Venerdi 24 Aprile alle ore 21 “Omaggio a Gian Maria Volontè” con la proiezione del film “Ogro” di Gillo Pontecorvo (1980).
Il film racconta dell’attentato al franchista Luis Carrero Blanco da parte di un gruppo di terroristi dell’Eta, nel 1973.
L’esplosione fu talmente devastante che la macchina di Carrero Blanco fu scaraventata in una via parallela facendo così pensare che si fosse trattato di una esplosione dovuta a una fuga di gas.

Sabato 25 Aprile alle ore 21 per la rassegna “Teatro e Storia”, Renato Donati interpreta “Dante”.
La rappresentazione scritta e diretta da Donati, racconta di Dante Di Nanni, un partigiano dei GAP che, ferito e circondato dai nazifascisti, si suicidò il 18 maggio 1944. L’episodio fu riportato da Giovanni Pesce nel suo famoso libro “Senza tregua. La guerra dei GAP”.

Scritto da Angelo Amoretti

21 aprile, 2009 alle 18:47

Pubblicato in Eventi

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La strage del ‘44: c’erano anche i fascisti al Monte Faudo?

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Oggi è l’8 settembre e non è un caso se torno a scrivere della strage del Monte Faudo, avvenuta il 17 settembre del ‘44.
Nell’inchiesta condotta da La Stampa, in un primo momento si parlava di alpini tedeschi del IV battaglione, “soldati delle Hochgebirgsjager“.
Molto probabilmente furono loro a uccidere i tredici civili, ma nell’intervista rilasciata al quotidiano il 6 settembre scorso, l’ottantacinquenne Bianca Rimbaudo, sopravvissuta all’eccidio, racconta a Gian Piero Moretti che un ufficiale tedesco ordinò di risparmiare le donne e mentre tornava a casa con la madre le Brigate Nere spararono contro di loro, “ma erano lontani e non ci presero“.
E la donna narra di Alfiore Ranise, allora ragazzino, scampato grazie al coraggio della sorella che implorò i tedeschi di graziarlo.
Ranise è vivo, ha 82 anni ed è ospite alla casa di riposo San Giuseppe di Dolcedo.
In una conversazione con Maurizio Vezzaro ha rievocato quella mattina del 17 settembre ‘44 e tra l’altro ha detto: “Tedeschi? Sì, c’erano tedeschi, ma anche italiani.
Forse dalle nuove inchieste verranno fuori anche i nomi di questi italiani, sicuramente fascisti, che hanno avuto un ruolo importante nelle operazioni di rastrellamento perché i nazisti non conoscevano bene il territorio e vi si muovevano grazie al loro aiuto.

Scritto da Angelo Amoretti

8 settembre, 2008 alle 10:08