Gli oggetti narrativi di Franco Pullia

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L’amico Marino Magliani mi ha inviato un suo personale ricordo di Franco Pullia l’ex segretario provinciale della Cisl che si è spento all’ospedale di Imperia il 21 settembre scorso, dopo una lunga malattia.

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Le notizie quassú dove vivo, in Olanda, mi giungono tardi, sia le belle che le brutte. Le belle mi dispiace. Le brutte di solito sono notizie di un amico morto e uno vorrebbe non sentirle mai. Tardi significa che vengo a conoscenza di una scomparsa due mesi dopo, come nel caso di Franco Pullia. In un mio libro dissi una cosa, e cioé che quando di una persona cara vengo a sapere in ritardo che se n’é andata, é come se durante quel tempo, il tempo in cui non sapevo ancora intendo, quella persona avesse continuato a vivere, almeno per me. Un po’ é vero, fateci caso. Un po’ si dirá che una persona che ci é cara é sempre viva.
Ho conosciuto Franco Pullia il secolo scorso, s’era cominciato a occupare dei miei libri, mi aveva incoraggiato, consigliato, corretto. Era un lettore avidissimo e colto. E’ attraverso lui e attraverso Jacopo Varaldo, altra persona a cui devo molto che non c’é piú, che ho cominciato ad amare Boine e Biamonti.

Incontravo Franco nel suo piccolo ufficio sul porto di Oneglia, un luogo che assomigliava di piú allo studio di uno scrittore che ad altro. Non ricordo in realtá che ufficio fosse, non glielo chiesi mai. Arrivavo e si usciva a passeggiare,
Franco, il caro amico Elio Lanteri ed io. Si discuteva, ci si fermava, si riprendeva il passo. Calata Cuneo era il cosmo di Franco Pullia ed era durante quelle passeggiate che mi parlava di Biamonti, di Boine, di Germano Lombardi, ma soprattutto di Campanella. Era un autore di culto per Franco, Campanella, lo conosceva a memoria e lo citava volentieri facendo fermare la gente. Elio allora citava francesi e spagnoli, Lorca, Hernandez e i sudamericani, Borges, Juan Rulfo. E la gente seguitava a notarci.
A volte pranzavamo sul porto e si parlava di quel vulcano di idee e libri che é il Centro editoriale imperiese. Franco ci aveva pubblicato due libri speciali, libri rari, fatti di letture, libri fatti di altri libri, senza saperlo aveva inventato l’oggetto narrativo che tanto in italia la gente come me prova a produrre. A lui veniva naturale parlare dei libri degli altri, scriverne e parlarne.
Un giorno, che mi trovavo a soggiornare in un paesino del dianese, a Varcavello, dove vive mia sorella, gli telefonai, sapendo che Franco viveva a Diano Calderina, o forse mi sbaglio, mi sbaglio sempre, era Diano Serreta, non importa.
Lo trovai a casa e mi disse di andarlo a trovare. Presi la mountain bike di mio nipote e rampai su verso i Ferretti e poi per sterrati che incidevano terrazzi ulivate e cieli, fino a casa sua. Cosí potei far conoscenza col suo bel maremmano e le capre di cui parlava sempre nei suoi scritti. Entrai in casa, c’era fresco e molto gusto nell’arredo. Tanti libri, ovunque, sparsi, impilati, negli scafali, e fogli di recensioni che preparava per la rubrica che curava per questa rivista.
Anche quel giorno mi parló dei miei libri, e anche severamente, mi rimproverava di rinnegare un libro che avevo stampato a mie spese una ventina di anni fa ormai. Era un libro pieno di movimento e di idee, forse alcune troppo ambiziose, anzi senz’altro troppo ambiziose, era il tentativo di creare una lingua acerba, parlata da un soldato tedesco di origine, da parte di padre, italiane, liguri, parte da cui il soldato aveva imparato un italiano imbastardito dal dialetto. Naturalmente quel soldato, che si chiamava Magliani, durante la guerra era venuto in Liguria e nella valle da cui provenivano i suoi nonni. Ce n’era abbastanza per far sbadigliare i critici, ma Franco inseguiva questi entusiasmi, questi esperimenti. Era uno che provava le curvature della lingua e sapeva riconoscere i tentativi, anche se acerbi. Altre volte lo incontrai a delle presentazioni. Poi lo andai a trovare una volta a Montegrazie, andai col motorino che quasi fusi perché c’era una salita ripidissima, e Franco era sulla sedia a rotella, mi parlava ancora di quel libro che io rinnegavo. Poi lo andai a trovare un giorno all’ospedale, fu due anni fa, gli portai un mio nuovo libro.
Lo sentii al telefono l’estate scorsa, era a Pieve di Teco.
E ora che mi fermo, mi viene in mente un’immagine, una foto, in uno dei suoi libri usciti per il Centro Editoriale Imperiese, lui, buoni muscoli, minatore, in Friuli.
Marino Magliani

Scritto da Angelo Amoretti

27 dicembre, 2008 alle 10:02

Pubblicato in Personaggi

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