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Lo scrittore Marino Magliani intervista Daniele La Corte

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Impressioni e qualche domanda a Daniele La Corte, autore di “La casa di Geppe”.

Non fosse per quel paesaggio collinare e i tempi della Resistenza che informano fin da subito sul dove siamo e cosa succede, e sulla povertà delle campagne piemontesi che appaiono come se si leggessero epiche fenogliane o le fughe a schiena bassa tra i filari che ci ha lasciato Pavese, di primo acchito la figura di Geppe potrebbe ricordare i romanzi di Emanuel Bove. Certo, qui manca la città che stritola, come manca la tenaglia dell’angoscia esistenziale, ma è quel Geppe perdente, orfano, maltrattato fin da bambino, a legarsi in modo così naturale a una certa letteratura. Noi conosciamo Geppe che è un giovane contadino, vivente del poco che danno la campagna e le bestie, e quel poco bisogna dividerlo coi proprietari della cascina. (Sia chiaro, il prezzo di questo libro lo vale da solo l’attento studio antropologico di La Corte: sembra di leggere “Il mondo dei vinti”, di Nuto Revelli, con le sue frasi in dialetto piemuntais e le testonianze “in presa diretta” dei braccianti.) Ma sono poche pagine, quelle del Geppe perdedor intendo, perché quando entrano in gioco Carmen e Pablo entra in gioco la storia, o la Storia. E allora, a quel punto, è come se a Geppe, persona mai coinvolta in fatti notevoli, fosse chiesto di “fare qualcosa”.
Faccia qualcosa” chiede la signora Delgado a Pereira sul treno, tornando a Lisboa, mentre stanno nel vagone ristorante a guardare il paesaggio del Tago. Faccia qualcosa per il Portogallo, intende la signora Delgado, per la libertà del Portogallo oppresso dal salazarismo, qualcosa per far cessare quest’aria di morte. Di nuovo, quante somiglianze, pur in tutt’altre trame e genesi, pur forzando, quanta letteratura che lascia respirare libertà. Leggete infatti La casa di Geppe e dite se quando si presentano a noi Carmen e Pablo non è come se avessimo davanti Monteiro Rossi e Marta di “Sostiene Pereira”? Entrambi giovani e perseguitati dal fascismo, entrambi uniti dall’amore – anche se i giovani di “Sostiene Pereira” sono portoghesi e mezzi italiani – per la causa repubblicana spagnola. Entrambi uniti da un destino che non riveleremo, ecco, dunque, che in sostanza, benché uno sia un cittadino, un intellettuale, giornalista, cattolico, cardiopatico con una vita che scorre nel ricordo di una moglie morta, e l’altro un relitto della campagna calpestatata nei secoli, Pereira e Geppe finiscono per scegliere di stare dalla stessa parte. Geppe si mette in gioco proteggendo la coppia di giovani fuggiaschi spagnoli e dando copertura a Henry, (inglese, antifascista, e agente, che entrerà in contatto con la Resistenza) e nascondendo la sua moto Norton. E il romanzo si chiuderà con la fine della guerra di Liberazione. Anzi, con una domanda.

Nell’introduzione si parla di microcosmo, ma a parte la vita del paese, con podestà, fascisti e antifascisti e gente che sta a guardare, e persino un prete (non assomiglia al padre António che discute con Pereira sulle posizioni di Mauriac e Bernanos, ma don Giustino è comunque un antifascista quanto lo è padre António ed è anche molto pratico: per farsi passare le informazioni chiede a Geppe se vuole confessarsi), a parte quella chiusura iniziale di luoghi, dopo un po’ gli spazi si aprono a ventaglio, e dal Piemonte si cala in Liguria come se si calasse nella nostra, di Storia. Si cala in quello che è il nostro microcosmo, popolato dalle nostre icone.
Ventuno capitoli che raccontano i venti mesi, Daniele La Corte, con salti in Spagna ai tempi dei terrori falangisti, con pagine sul pallone elastico e la Liguria, si diceva, tanta Liguria, con i miti che noi tutti (la grande parte) riconosciamo, come Felice Cascione, Silvio Bonfante e persino leggende viventi come Carlo Trucco, e una sezione iconografica che mostra un Trucco roccioso e solare.

Quando è nata questa storia?

L’idea di Geppe nasce dai ricordi dell’infanzia. Mia madre, monregalese, mi ha sempre raccontato la realtà di un mondo diverso da quello che vivevo io nato davanti al mare di Alassio. È la voglia di non dimenticare, di non strappare le radici dove una parte della mia famiglia, quella materna appunto, aveva visto il succedersi di eventi tragici e spesso discordanti tra loro. I racconti che avevano come teatro l’ambiente bucolico di un Piemonte attraversato da situazioni difficili mi ha sempre affascinato. Geppe è un personaggio che prende corpo da una memoria viva, dal contadino che avevo visto più volte lavorare nella stalla di miei parenti proprietari di cascine e bestiame. Così nel mix di ricordi ho cercato di dar vita a un personaggio frutto di realtà e fantasia. Nel settantesimo anniversario della Liberazione ho pensato di cimentarmi in un romanzo che possa, mi auguro, avvicinare più facilmente i giovani alla Storia del nostro Paese diventato libero grazie alla Resistenza.

Il romanzo è impreziosito da un’intelligente prefazione di Giancarlo Caselli. Come è nata questa collaborazione?

La legalità è da sempre il mio chiodo fisso e Geppe, nella mia testa, rappresenta, o almeno dovrebbe rappresentare il senso civico di chi, anche povero e diseredato, tiene la schiena dritta. Ecco perché ho chiesto al dottor Caselli, che più volte ho intervistato nella mia vita di cronista, se voleva darmi il suo contributo per un lavoro all’insegna della legalita contro ogni sopruso. Giancarlo Caselli è un’icona contro la mafia, contro lo strapotere del malaffare, simbolo dei magistrati coraggiosi che il potere ha cercato, in diversi modi, di bloccare. Ci sono riusciti bloccandogli la carriera con una legge ad personam, ma non sono riusciti, neppure oggi, a bloccargli la parola è la forza di essere uomo libero vessillo della legalità

Di tuo avevo guardato Storie di uomini e di donne (Calvo editore, 1995). Me l’aveva regalato un grande amico, scomparso da alcuni anni, ma ben presente e molto amato da questa città. Si tratta di Franco Pullia, che pubblicava i suoi saggi con il Centro Editoriale Imperiese di Emilia Ferrari. Ebbene, ricordo che anche in quel tuo libro rivivevano i racconti partigiani. E la cosa che più mi aveva impressionato era stata la forza di una lingua fedelissima, apparentemente semplice, ma molto sorvegliata. Io la conoscevo bene: era la lingua che ascoltavo da bambino, negli anni sessanta, seduto sui muretti del carruggio, gli occhi alti, sulle pietraie che circondano Pistuna, lassù dove cadeva la luce e restava un fuoco a divorare le stagioni. Raccontaci la lingua di La casa di Geppe.

È il fulcro del dialogo di persone di cultura e nazionalità diverse che hanno come base la forte volontà di strappare le catene che impedivano libertà di espressione di movimento. Il cocktail di lingue, il misto di spagnolo, inglese e stentato italiano sono per me l’immagine fantastica di un’Europa che metteva già allora fondamenta salde per l’unione tra i popoli. Geppe è l’Italia che si scrolla da dosso il giogo nazifascista, il nazionalismo anacronistico e insulso dell’uomo solo al comando.

E adesso?

La domanda non trova facile risposta. Ciò che Geppe e gli altri cercavano ha lasciato molti con la bocca amara. L’Unità tra i popoli non si è avverata e la globalizzazione si è sostituita, in maniera abnorme, all’individualità dei singoli che per l’Italia libera e democratica hanno dato la vita. Forse, come Geppe, ci aspettavamo di più sperando che il Paese crescesse non solo economicamente ma anche culturalmente. Ai tanti Geppe sparsi per il mondo auguro la scoperta di una casa comune dalle pareti di vetro dove il governo sia veramente del popolo e non di un nutrito gruppo di parassiti pronti a sfruttare il lavoro del più debole.

Scritto da Angelo Amoretti

18 aprile, 2015 alle 15:19

I dolori dell’innamorato Scajola, novello Werther a sua insaputa

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di Silvia Truzzi per il Fatto Quotidiano – 15 giugno 2014

Racconta Giovanni Bianconi sul Corriere che “Claudio Scajola s’è messo nei guai per amore”. Per amore di chi? Chiara Rizzo, évidemment, la bella moglie dell’ex deputato di Forza Italia, Amedeo Matacena (condannato per ‘ndrangheta, in procinto di rientrare da Dubai, dove era latitante, mentre la consorte è in carcere in Calabria). Scrive Bianconi: “Lo Scajola innamorato finisce di essere argomento di gossip ed entra ufficialmente in un atto giudiziario sottoscritto dagli avvocati Giorgio Perroni ed Elisabetta Busuito, nel tentativo di alleggerire la posizione del loro assistito nell’indagine dove i pm (ma non il giudice che l’ha fatto arrestare) lo considerano una pedina essenziale del più grande gioco di appoggio alla mafia calabrese”.
I due legali sostengono che il “movente della sua condotta, il solo, unico motivo di tutto quanto egli ha fatto per aiutare Chiara Rizzo, peraltro sempre rimanendo nel lecito… È l’invaghimento di Claudio Scajola per questa donna estremamente bella, molto affascinante e, soprattutto, rimasta improvvisamente sola e disperatamente bisognosa di aiuto per qualunque cosa, a essere il motore di ogni sua azione. Ed è così che l’affetto nato nel corso degli anni, complice certamente anche il bisogno di aiuto di questa donna al quale lo Scajola non rimane sordo, prende corpo e si trasforma via via in una vera e propria passione”. Non sembra un romanzo d’appendice? L’eroina abbandonata dal marito viene soccorsa da un cavaliere senza macchia. La passione però non è destinata al lieto fine, indipendentemente dagli esiti carcerari. Perché lady Matacena finisce per legarsi a Francesco Bellavista Caltagirone (la donna ha ammesso che la Porsche Cayenne su cui viaggiava era un “dono” dell’imprenditore) e l’ex ministro dell’Interno non la prende affatto bene. È naturalmente geloso di quella signora per cui “letteralmente stravede”. Sempre i difensori: “Scajola è l’uomo innamorato che diviene non solo vittima di un umano e comprensibile sentimento di gelosia nei confronti di questa donna ma che lo vede, anche, totalmente consenziente e sottomesso a qualunque sua richiesta, sia pur sempre rimanendo nell’ambito del lecito”. Lui è pronto a esaudire ogni sua pretesa, per “poter avere l’occasione di ritagliarsi dei momenti di intimità con lei”. Poverino. Durante l’interrogatorio, Scajola spiega ai pm: “Chiara è una donna intelligente, brava, perbene, ma confusissima e in qualche modo pasticciona… Io l’ho aiutata cercando di capirla, di assecondarla. Mi ha dato l’impressione di essere disperata, sola e senza risorse”. Anche se ha dovuto ammettere di essere rimasto alquanto perplesso dalla Porsche, di cui andò a verificare il valore su Quattroruote (!): 80 mila euro. Pas mal per una donna disperata e senza risorse. Alla fine di tutto questo, Scajola dovrebbe farci tenerezza. Gli hanno combinato un casino con la casa al Colosseo e come se non bastasse che cosa gli riserva il fato? La sventura d’innamorarsi di una lady pasticciona e disperata. Eppure non ci riesce proprio a suscitare qualche tipo di simpatia, nonostante gli sforzi letterari dei suoi difensori che tentano di farlo apparire come un Werther fuori tempo. Anzi il risultato è esattamente l’opposto: una grande irritazione. O peggio, la sensazione di essere presi in giro. A nostra insaputa.

Scritto da Angelo Amoretti

15 giugno, 2014 alle 10:05

L’interrogatorio di Scajola [da Corriere.it]

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Invece di riportare frasi sconnesse, trovo più semplice fare così:



Scritto da Angelo Amoretti

12 giugno, 2014 alle 15:31

Franco Balestra, il campione silenzioso

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Giovedì 29 maggio 2014, alle ore 17,30, presso il Centro Culturale Polivalente, sarà presentato il libro “Il campione silenzioso” scritto da Giorgio Bracco per l’editore Fenoglio.

Il libro
“Il campione silenzioso”, Fenoglio Editore, in 173 pagine ripercorre la vita e l’avventura sportiva di uno tra i più grandi campioni che la pallapugno abbia mai avuto nella sua storia ultrasecolare: Franco Balestra, originario di Tavole, classe 1924, morto nel settembre di tre anni fa. Balestra, vincitore di ben sei scudetti, è stato protagonista, negli anni Cinquanta, di mitici duelli-scudetto con un altro grandissimo campione del passato, Augusto Manzo. I loro scontri, allo stesso modo dei contemporanei duelli tra Coppi e Bartali, divisero tifosi e appassionati in “balestriani” e “manziani”. Nel libro, che contiene foto inedite di un Balestra più intimo e famigliare, compaiono testimonianze, ricordi e articoli storici di un’epopea indimenticabile del caro, vecchio “balon” . Di Balestra e della sua epoca parlano, tra gli altri, Enrico “Cichina” Piana, suo fido terzino, unico vivente delle memorabili sfide nei “templi” della pallapugno: Alba, Torino, Ceva, Pieve di Teco, Imperia, Acqui Terme. Nel “Maracanà” del balon, lo sferisterio “Mermet”, per le finali tricolori, non si scendeva mai sotto i 6mial spettatori, con inviati e fotoreporter provenienti da tutta Italia.

Il costo del libro è di 15 euro. Il volume è prenotabile presso il Lions Club Imperia La Torre (numeri di telefono 335-1801376 oppure 0183-449989). L’intero incasso dalla vendita sarà devoluto alla Banca degli Occhi, service curato dal Lions Club La Torre di Imperia.

L’autore

Giorgio Bracco, giornalista del Secolo XIX dal 1991, è nato e vive a Imperia dove lavora da 23 anni nella redazione locale del quotidiano genovese. Grande appassionato di palla pugno, ha seguito per anni campionati, storie, vicende e personaggi legati a questa disciplina. Cronista, ex corrispondente della Gazzetta dello Sport negli anni Novanta, oggi si occupa di cronaca, inchieste e reportage, sport. Amico personale di Franco Balestra, con lui ha trascorso ore e ore a parlare di balon, ma non solo. Da questi indimenticabili incontri, nel 1996, aveva tratto i racconti contenuti nel romanzo “Le colline in pugno” (edito da L’Arciere, Cuneo). Ora, 18 anni dopo, mentre anche Balestra, dopo Manzo e quasi tutti i protagonisti dell’epopea d’oro della pallapugno ci hanno lasciati, si ripropone al pubblico di tifosi, appassionati, curiosi e studiosi di questa disciplina, un nuovo libro, agile e ricco di spunti interessanti. Un volume che ripercorre a ritroso, dalla morte di Balestra (agosto 2011) alle prime sfide con Manzo allo “Stenca” di Imperia, una vita e un’avventura sportiva e umana che hanno segnato un’epoca. Attraverso i quotidiani dell’epoca, interviste, incontri, racconti e ricordi di chi era in campo o sugli spalti, in quegli irripetibili anni Quaranta, Cinquanta e Sessanta, al “Mermet”di Alba come in Via Napione a Torino, passando per lo “Stenca” di Imperia, viene fuori una fotografia di un’epopea indimenticabile, forse la più bella e viva, di questo sport antico e virile, così ben descritto da scrittori quali De Amicis, Pavese, Fenoglio, Arpino. Il libro è arricchito da testimonianze di prima mano e inedite: un’intervista al fido terzino di Balestra, Enrico “Cichina” Piana, unico giocatore vivente delle straordinarie sfide con Manzo, ad Alba e Torino; il racconto di Elisabetta Manzo, figlia di Augusto, negli anni Cinquanta poco più che una bambina, che rivive oggi quell’epoca attraverso sguardi e parole del suo papà campione, tanti anni fa.

Scritto da Angelo Amoretti

27 maggio, 2014 alle 15:55

In ricordo di Armando Fontana

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Il prossimo venerdì 6 dicembre, alle ore 17, nell’aula del Consiglio comunale di Imperia sarà commemorato Armando Fontana in un incontro pubblico organizzato dall’Associazione culturale XXV Aprile con il patrocinio del Comitato provinciale Arci di Imperia.
Gli amici e compagni di lotta, ex colleghi della P.S. “carbonari” dell’allora Movimento democratico clandestino imperiese dei lavoratori di polizia, invitano la cittadinanza a partecipare all’iniziativa per ricordare la passione umana e ideale che ha caratterizzato l’impegno civile, sociale e politico di Fontana.
Armando Fontana è una figura storica del Movimento per la democratizzazione dell’ordinamento delle Forze di polizia; antesignano e cofondatore del Movimento per la smilitarizzazione, sindacalizzazione e riforma della P.S. e del Sindacato dei lavoratori di polizia, tra i primi a battersi per coniugare polizia e democrazia, è stato anche consigliere comunale di Imperia ed artista eclettico.
Ricordare Fontana e la passione del suo straordinario impegno nel Movimento democratico dei lavoratori di polizia della nostra provincia, della Liguria e nazionale, significa anche e soprattutto ricordare le lotte degli anni ‘70 e ‘80 per ottenere prima, e per fare applicare poi, la riforma della P.S.: una riforma epocale, storica per il nostro Paese, con tutti gli importanti e innovativi cambiamenti conquistati per gli appartenenti alla polizia tra cui il riconoscimento di libertà sindacali e di essenziali diritti civili, sociali, politici e del lavoro, allora negati, e la nascita della Polizia di Stato ad ordinamento civile in sostituzione del Corpo di P.S.militare. Tra i principali e più importanti obiettivi quello di modificare, – democratizzandoli, – i rapporti tra forze di polizia e società, tra polizia e cittadini, tra polizia e lavoratori storicamente improntati a metodi repressivi e antidemocratici ( non a caso uno degli slogan più significativi del Movimento imperiese era “né sbirri, nè manganellatori, ma tutori della legge al servizio dei cittadini”). L’obiettivo era anche quello di costituire una polizia efficiente, altamente specializzata nelle attività di prevenzione, con una capacità investigativa fortemente professionalizzata in grado rispondere pienamente alle esigenze di sicurezza democratica proveniente dai cittadini e in grado di combattere più efficacemente la criminalità organizzata , quella dei cosiddetti “colletti bianchi”, dei poteri occulti ed eversivi, quella economica e delle collusioni e degli intrecci tra affari e politica. Una lotta, quella di Fontana e del Movimento dei poliziotti democratici, per far riconoscere ai lavoratori di polizia la dignità e i diritti di uomini liberi e lavoratori come gli altri e non essere trattati come cittadini e lavoratori di serie C, sottopagati, sfruttati e isolati dal contesto sociale, ma anche per costruire un effetto “trascinamento” nella democratizzazione degli ordinamenti delle altre Forze di polizie e contribuire alla lotta più complessiva per la riforma democratica dello Stato.
La commemorazione di Fontana sarà quindi anche l’occasione per riflettere sugli obiettivi di allora, su quelle lotte e su quelle conquiste, oggi, alla luce di un mutato contesto storico, sociale e culturale e con la presenza di una criminalità economica e mafiosa sempre più inserita nei gangli vitali del sistema produttivo, della società e della democrazia del nostro Paese.
L’appuntamento è per le 17 di venerdì 6 dicembre nell’aula del Consiglio comunale di Imperia. L’incontro è pubblico e l’ingresso e libero. Relazioni introduttive di Giuseppe Famà, che presiede, e Orlando Botti, amici e compagni di Fontana durante la lotta clandestina e nel Sindacato lavoratori di Polizia.
Sono stati invitati e interverranno: autorità e rappresentanti istituzionali, di CGIL, CISL e UIL, dei Sindacati della Polizia di Stato e di altre forze di polizia, dell’Istituto storico della Resistenza e delle Associazioni partigiane, della redazione della rivista “Polizia e democrazia”, delle Associazioni e delle Forze culturali, sociali e politiche democratiche, giornalisti, lavoratori, pensionati, giovani, ex colleghi e compagni di lotta di Armando, appartenenti alle Forze di polizia.
Saranno presenti i familiari.
La cittadinanza è cordialmente invitata.
Organizza l’Associazione culturale intemelia XXV Aprile con il patrocinio del Comitato territoriale Arci della provincia di Imperia.

p. l’Associazione culturale XXV Aprile/Arci
Giuseppe Famà

cell. 340.7359368

Annotazioni:
Armando Fontana è morto alla soglia dei 90 anni. Ha lasciato la moglie, Maria, due figli, Roberto e Giuliana e numerosi nipoti. Negli anni ‘80 è stato consigliere comunale di Imperia eletto come indipendente nella lista del PCI. Numerose sono le sue opere in terracotta tra cui i busti del generale argentino Manuel Belgrano originario di Costa d’Oneglia, commissionati dal comune di Imperia e in Argentina, dove il generale è considerato un eroe nazionale dell’indipendenza di quel Paese.

Scritto da Angelo Amoretti

3 dicembre, 2013 alle 22:09

In rete si trova di tutto, anche Romolo Marzi

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Girovagare in rete è come immergersi sott’acqua. C’è chi va a pescare e trova anfore o addirittura segnala il ritrovamento di una nave romana appoggiata sul fondo che nessuno aveva mai visto prima e c’è chi in rete cercando “Romolo Marzi” s’imbatte in un documento del Nucleo di Polizia Tributaria di Genova inviato alla Procura di Genova in cui si riportano svariate intercettazioni telefoniche alquanto interessanti.
Romolo Marzi è un imprenditore, titolare della società di consulenza Assoconsult di Genova “esperto della progettazione europea” e sul rapporto della Tributaria si legge che il Marzi, “tramite i pubblici amministratori, è in grado di sapere con un certo anticipo se e quando usciranno i bandi per la progettazione di PSL” [Piani di Sviluppo locale nda].
Vi domanderete come mai lo scrivo sul mio blog, visto che si tratta di faccende genovesi e io, come noto, mi occupo di quelle imperiesi.
In realtà l’organizzazione del Marzi è stata in grado di acquisire anche il progetto “Dal Parasio al Mare” e in una conversazione tra lui e la sua collaboratrice Carla Stradolini (pag.131) si parla appunto di Parasio, di Circolo Parasio, di Scuola Edile,di Istituto Pastore ecc. ecc. e a un certo punto il Marzi dice di “aver fatto il programma su Imperia e diviso il budget“.
Ora, dal momento che devo essermi perso qualcosa e che il rapporto della Tributaria di Genova risale al 2011, domando: qualcuno di voi sa come si è poi sviluppata l’indagine?

1) Della vicenda si erano occupati anche Matteo Indice e Marco Grasso su Il Secolo XIX.
2) Il documento della Polizia Tributaria si può leggere cliccando qui.

Scritto da Angelo Amoretti

29 agosto, 2013 alle 15:14

Ciao, Silvano!

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Il Partigiano Silvano Alterisio, detto “Vassili” è morto all’età di 90 anni. Insieme a Felice Cascione e a Giacomo «Ivan» Sibilla compose i versi della canzone «Fischia il vento», sulla melodia del brano russo «Katyusha» e contribuì a sconfiggere i nazifascisti durante la Resistenza.
Con Silvano ho lavorato per circa vent’anni alla S.A.I.R.O. per cui ho di lui tanti ricordi e l’aver appreso che è mancato, mi ha rattristato alquanto.
La foto qua sotto è ripresa dal documentario di Remo Scellino “U Megu”.

Silvano Alterisio

Scritto da Angelo Amoretti

27 agosto, 2013 alle 11:03

La scomparsa dell’On. Manfredo Manfredi

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E’ morto l’on. Manfredo Manfredi.
Ho avuto modo di conoscerlo in svariate celebrazioni della Liberazione: al di là di tutto era una persona democratica e antifascista e, leggo su Il Scolo XIX di oggi, “il vero rivale degli Scajola“.
Tanto mi basta per ricordarlo con affetto e porgere alla figlia Gabriella le mie sentite condoglianze.
Ripubblico una lettera aperta che inviò all’allora neo sindaco di Imperia, Paolo Strescino:

Onora la Resistenza perché ti ha permesso di essere sindaco.

Caro Sindaco,
sento il dovere, come cittadino imperiese, di porgere i miei complimenti per la Tua elezione uniti ad un sincero augurio di buon lavoro. La comune esperienza vissuta insieme nel precedente Consiglio Provinciale, anche se su posizioni politiche diverse, mi ha lasciato unsegno positivo delleTue capacità e dellaTua moderazione.
Come Presidente dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea, desidero rivolgerTi alcune osservazioni circa le dichiarazioni da Te rilasciate al Secolo XIX nell’edizione del 9 giugno.
Il Tuo riferimento alla medaglia d’oro al valor militare per la Resistenza che è stata concessa a tutta la Provincia di Imperia e quindi non solo alla città di Imperia, è citato come un atto di coraggio per essere stato designato candidato Sindaco un giovane di Alleanza Nazionale. Tale affermazione può essere considerata una sfida revisionistica al passato o un gesto di superamento del revisionismo stesso. Mi auguro che il significato della Tua affermazione non coincida con la mia prima valutazione.
Se così non fosse mi consento di citare i valori della Resistenza per cui sono morti nella Prima Zona Liguria (Provincia di Imperia Albenganese), oltre seicento partigiani tra cui sei medaglie d’oro, il più anziano aveva 25 anni, il più giovane 15, 52 medaglie d’argento,150 medaglie di bronzo e oltre 600 civili,uccisi perr appresaglia, tra cui sedici sacerdoti, caduti per ridare dignità e libertà ad un popolo che nel ventennio di dittatura aveva perso,ma soprattutto vincendo contro il nazismo.
Dalla Resistenza è nata la Costituzione e nella Costituzione sono sanciti quei diritti di libertà e democrazia che consentono ad un giovane di A.N.di diventare Sindaco della nostra città capoluogo di Provincia.
Ma io sono fiducioso che il significato della Tua affermazione coincida con la mia seconda valutazione, cioè nel superamento di quel revisionismo storico che nel recente passato e forse ancora oggi, viene strumentalizzato per riconoscere pari dignità a chi nella Resistenza ha fatto la scelta sbagliata con chi ha fatto la scelta giusta.
Tu, caro Sindaco, nella Tua nuova esperienza avrai modo di incontrare tanti giovani. Bene. Ma non dimenticare mai, nella Tua autorevolezza di Primo Cittadino, di ricordare loro, come spesso ha fatto il Sindaco Sappa, la cui famiglia ha vissuto le drammatiche vicende della Resistenza, che l’articolo 2 della Costituzione stabilisce che la Repubblica Italiana riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo l’unico articolo di tutta la Costituzione in cui viene citata la parola “uomo”, cioè tutti gli abitanti della terra. E aggiungi come monito ciò che nei lontani anni venti del secolo passato, un grande Missionario laico, Raul Follerau, diceva ai giovani:”Un uomo non è degno di essere libero se non garantisce rispetto e libertà agli altri’’.
Un caro saluto
Manfredo Manfredi – Il Secolo XIX – 13 giugno 2009

Scritto da Angelo Amoretti

13 febbraio, 2013 alle 14:06

E’ nelle librerie “La conca del tempo” di Elio Lanteri

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E’ finalmente uscito il romanzo postumo di Elio Lanteri “La conca del tempo” per le edizioni Transeuropa, con prefazione di Bruno Quaranta e postfazione di Marino Magliani.

Dal risvolto di copertina:

In una caletta chiusa da tre lati e aperta sul mare, quattro personaggi vivono dei ricordi della loro vita passata nelle viscere della natura aspra: quella Liguria di Ponente già protagonista de La ballata della piccola piazza e che ancora una volta non si limita a fare da sfondo, ma è elemento essenziale del racconto. Damìn, Viturìn, Bellagioia, Rosy, Badulìn e gli altri personaggi gravitano intorno a un ecosistema apparentemente immobile ma in cui sono proprio i minimi movimenti, i tempi infinitesimi della natura, a dettare il ritmo dell’esistenza.
E proprio gli elementi naturali – una cornacchia, un vecchio ponte, parlano e pensano per ripercorrere in vesti nuove la leggenda di un nuovo Sisifo e del suo destino, non imposto da una divinità ma scelto consapevolmente.
Perché Damìn ogni giorno risale verso la vecchia casa sulla scogliera? Quale scelta lo condanna, quale dolore lo tiene vivo?

Un racconto che respira tra la danza leggera delle foglie d’autunno e il mare in miniatura che, di notte, culla i sogni fantasiosi di una gioventù lontana.

Luigi Berio, amico e gran conoscitore di Elio e la sua scrittura, in un commento al post dello scorso 22 aprile, scriveva che questo romanzo è “forse più difficile rispetto al primo“. E’ vero, ma indubbiamente abbiamo tra le mani una ulteriore, preziosa testimonianza dell’opera di uno dei più importanti scrittori del ponente ligure.
Se Elio fosse ancora con noi, gli chiederei un sacco di cose, a proposito della Conca, ma probabilmente, dopo un lungo e articolato discorso, finirebbe per dirmi di interpretarlo come meglio credo.

Scritto da Angelo Amoretti

20 giugno, 2012 alle 16:41

“La conca del tempo” di Elio Lanteri

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Il romanzo postumo di Elio Lanteri, “La conca del tempo”, edito da Transeuropa, sarà nelle librerie il prossimo mese di giugno.
Lanteri, autore de “La ballata della piccola piazza“, è morto nel 2010 e in quell’anno vinse il premio Biamonti.

La Conca del tempo

Dal sito della casa editrice:

In una caletta chiusa da tre lati e aperta sul mare, quattro personaggi vivono dei ricordi della loro vita passata nelle viscere della natura aspra: una Liguria di Ponente che non si limita a fare da sfondo, ma è elemento essenziale.
Damin, il protagonista, Viturin, Bellagioia, Rosy, Badulin e gli altri personaggi gravitano intorno a un microcosmo apparentemente immobile ma in cui sono proprio i minimi movimenti, i tempi infinitesimi della natura, a dettare il ritmo dell’esistenza.
E proprio gli elementi naturali – una cornacchia, un vecchio ponte – parlano e pensano per ripercorrere in vesti nuove la leggenda di un nuovo Sisifo e della sua condanna, che si configura però non come imposizione, ma come scelta consapevole.
Perché Damin ogni giorno risale verso la vecchia casa sulla scogliera?
Quale scelta lo condanna, quale dolore lo tiene vivo?
Un racconto che respira tra la danza leggera delle foglie d’autunno e il mare in miniatura che, di notte, culla i sogni fantasiosi di una gioventù lontana.

«La terra di Lanteri, pur trovandosi in questo mondo, ci porta in quello delle favole che gli uomini si raccontano per non morire.»
Vincenzo Pardini

Stay tuned!

Scritto da Angelo Amoretti

22 aprile, 2012 alle 17:32