SAD CITY – di E. Stark – Seconda puntata

senza commenti

Quando ci fu il boom dei cellulari il divertimento principale, quando si era in pizzeria o al bar, era quello di far sentire le suonerie agli altri o di descrivere le prestazioni del proprio telefonino, come fosse stato un prolungamento di se stessi.
A pensarci bene chissà che uno psicologo non ci abbia già tirato fuori qualche cazzata del tipo ‘è un simbolo fallico’. Tutti i torti non li avrebbe. Immaginate la scena: l’uomo che mostra il suo, che è più bello di quello degli altri, e la donna che stringe il suo, nel senso ‘quello che ho fra le mani io è più bello del tuo’. Naturalmente ci si scambiavano subito i numeri. Una ragazza mi chiese il mio e le risposi: «Mi dispiace, non ce l’ho il telefonino».
Sul suo viso apparve un’espressione che all’inizio sembrava le avessi confidato di avere la rabbia, poi cambiò in una smorfia che sembrava voler dire:«Caro mio, sei proprio messo male!» e mi chiese:«Ma come fai senza cellulare?»
Le risposi che non ne avevo la necessità e tutto, ma proprio tutto, finì lì.
Sad City era una bella città in fin dei conti, ma era moribonda.
Le cause del suo declino erano molte, forse perchè aveva una bassa natalità, o forse semplicemente perchè i giovani, una volta ottenuto il diploma, emigravano nelle città che potessero offrir loro un futuro un po’ più roseo soprattutto dal punto di vista professionale. A onor del vero occorre dire che in tutta Italia, se non nell’intero mondo occidentale, ce la stavamo passando maluccio.
Anche per questo la gente era triste e i giovani svogliati.
Se andavo in un bar e alla ragazza che mi serviva il caffè dicevo: «Ciao!», lei a malepena rispondeva:«Buongiorno».
Per chi come me era stato in altre città molto più grandi e che in fondo nella mia c’ero nato e cresciuto, tutto questo appariva perlomeno bizzarro. Eppure era difficile vedere qualcuno sorriderti. E non succedeva solo con me, era proprio un fenomeno generalizzato.
Sad City aveva quarantamila abitanti, proprio come la Poisonville di Dashiell Hammett. Quella era la città dei veleni, la mia quella della tristezza. Quelli della mia età, e non solo quelli, erano diventati da anni una massa di pecorelle.
Ogni lunedì, nella stagione autunno-inverno, appuntamento fisso al cinema Roma per il Cineforum. Poteva esserci la più grossa cazzata di film iraniano, indiano o turco – per fare un esempio – che tutti andavano a vederlo. Poi, se al martedì proiettavano un capolavoro in un altro cinema, beh, i ‘cinefili’ di Sad City neppure lo sapevano.
E se dicevi loro che, secondo te, ‘Le Iene’ di Quentin Tarantino è un capolavoro, eri perduto per sempre.
Essendo una cittadina di provincia, molti film a Sad City arrivavano quando nel resto d’Italia erano già usciti da settimane, se si escludono i classici natalizi.
Allora per far girare le palle a quelli che non amavano Tarantino, spesso andavo al Cineforum a rivedere un film che avevo già visto a Genova o a Roma. Non ero così crudele e buzzurro da raccontare il finale in anticipo, come fanno molti crudeli buzzurri, mi limitavo a dire:« L’ho già visto e avevo voglia di rivederlo.» «Ah Si?!! E dove lo hai visto?» chiedevano le pecorelle semi smarrite.
«In Francia, in lingua originale» rispondevo.
Non era vero, ma cribbio, crudele e buzzurro no, ma un pò stronzo sì. Se non lo eri te lo facevano diventare.

Fine seconda puntata – continua –

Scritto da Angelo Amoretti

25 settembre, 2005 alle 9:41

Pubblicato in Racconti



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