Il Ministro nucleare, ma anche no

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Partiamo da qua: Berlusconi e Sarkozy firmano l’accordo sul nucleare. I maligni dicono che siccome la Francia ha quattro reattori da rottamare e non sapendo a chi darli, li ha affibbiati a noi.
Ma questa è un’altra storia.
Il giorno dopo il Ministro Scajola rilascia l’intervista a Repubblica, in cui, tra l’altro, afferma:

Ricordo che nel 1987, quando ci fu lo sciagurato referendum che ci fece uscire dal nucleare, nelle zone dove sorgevano le vecchie centrali i voti favorevoli al nucleare erano superiori ai voti contrari. Questo non significa certo che non ci potranno essere delle opposizioni: ho visto per esempio che un ex sottosegretario dei Verdi ha preannunciato un nuovo referendum contro le norme sul nucleare. Gli auguro più fortuna di quanto i Verdi abbiano avuto alle elezioni politiche. Penso che dovremo far di tutto per spiegare che le nuove centrali sono incomparabilmente più sicure di quelle vecchie e che sono indispensabili per ridurre l’inquinamento e far pagare meno l’energia elettrica, soprattutto alle popolazioni e alle imprese delle zone attorno alle centrali.

Lo stesso giorno, il 25 febbraio scorso, scendono in campo, a battere il ferro quando è caldo, i due quotidiani più vicini al Governo: il Giornale (del fratello di Silvio Berlusconi) e Libero il cui direttore, Vittorio Feltri scrive che il referendum del 1987, in cui vinsero i “NO” fu una “rara prova di imbecillità collettiva” e che i cittadini che votarono contro erano “rimbambiti dalla propaganda“.
Fui uno di quelli che votarono NO e non perché rimbambito dalla propaganda, ma perché le centrali nucleari, in Europa, facevano paura, dopo i fatti noti di Cernobyl.
Acqua sotto i ponti ne è passata (e anche scorie radioattive) e col tempo si è cominciato a ragionare in questa ottica: che senso ha non volere le centrali nucleari in Italia, quando le vicine Francia, Svizzera e Slovenia le hanno?

Anche se, per la verità, quando recentemente sono successi quei “piccoli” incidenti in Slovenia e in Francia, ci siamo spaventati un po’ tutti.
Ma tant’è: le centrali nucleari ci sono e ci stanno. Solo che altrove le stanno chudendo e, negli Usa, Obama non ha messo neppure un centesimo nel bilancio per la ricerca riguardo il nucleare. Un perché ci sarà.
Infatti, a parte i problemi su citati, la domanda che c’è da porsi oggi è, a mio modesto avviso, se conviene mettersi a costruire centrali nucleari che tra trent’anni saranno già vecchie e l’uranio comincia a scarseggiare.
Il Ministro Scajola, in una intervista a la Stampa del 28 febbraio scorso, dice che il nucleare “porterebbe ricchezza e consentirebbe di
far pagare meno ai cittadini le bollette per l’elettricità
“.
Ammettiamo che le bollette dell’elettricità saranno meno esose, e mettiamo che questa non sia la propaganda per rimbambiti alla rovescia di cui dice Feltri, alcune domande mi sorgono spontanee: con che soldi verranno costruite le centrali nucleari? Dove finiranno le scorie radioattive? Da chi acquisteremo l’uranio e quanto lo pagheremo?
Se, come facilmente prevedibile, le centrali saranno costruite con i nostri soldi, grazie, preferisco pagare la bolletta dell’Enel un po’ salata.
Se in Italia non riusciamo a smaltire la rumenta, come riusciremo a smaltire le scorie radoattive? Se costruiamo scuole che crollano, come faremo a costruire centrali nucleari
A Napoli la colpa della rumenta per le strade era della sinistra. E mettiamo che per disgrazia al governo, tra venti o trent’anni, vada di nuovo Prodi (o chi per lui, ma la colpa sarà sempre di Prodi): avremo scorie radioattive ovunque.
La Marcegaglia, presidente di Confindustria, donna liberale tutta d’un pezzo che quando è in difficoltà chiede aiuto allo Stato, vuole che il governo faccia in fretta, con queste centrali.
Il perché di tutta questa voglia di nucleare può essere trovato in nell’articolo di Marco Preve e Emiliano Fittipaldi, pubblicato su l’Espresso di questa settimana che riporto per intero:

Scajola ha un’idea Atomica
Un feudo in Liguria. Un drappello di fedelissimi in Parlamento. Fondi miliardari per le imprese. La fitta rete di potere del ministro e le sue mire.

La monnezza di Imperia è l’unica cosa che turba le sue notti. Il ministro atomico Claudio Scajola proprio non se l’aspettava che i suoi uomini potessero trasformarsi in epigoni di Bassolino e Iervolino. Nemmeno fossimo a Napoli o Afragola, piuttosto che nella civilissima Riviera dei Fiori. Lo smacco, invece, è arrivato: la Regione Liguria (di centrosinistra) ha commissariato la Provincia imperiese governata da Forza Italia, spedendo l’ex prefetto di Genova Giuseppe Romano a gestire l’emergenza rifiuti. Sarà una bella gatta da pelare: il territorio della zona è piccolo e montuoso, i siti adatti a realizzare sversatoi pubblici si contano su una mano, termovalorizzatori nessuno ne vuole e i comuni, quasi tutti scajolizzati, soffrono della sindrome ‘nimby’, i rifiuti ovunque, ma-non-a-casa-mia.
Ma esclusa la spazzatura che insozza il suo feudo elettorale, ‘u Ministru’, come lo chiamano dalle sue parti, non ha preoccupazioni di sorta. Titolare dello Sviluppo economico e collezionatore di deleghe pesanti (controlla le Attività produttive, le Comunicazioni e il Commercio internazionale), gestisce un impero in crescita costante, anche grazie a un sistema di potere capillare che ne fa, insieme a Giulio Tremonti, l’uomo più influente del governo. I due ora lottano per mettere il cappello sul nucleare che verrà: l’imperiese per ora è in pole, mentre l’economista, azionista di riferimento dell’Enel che ha appena concluso un accordo con la francese Edf per costruire quattro nuove centrali, sta tentando di fermarne l’attivismo. Sarà difficile, visto che Berlusconi in persona ha abbracciato la sua causa firmando un patto con Nicolas Sarkozy per produrre insieme energia nucleare.
Signore assoluto del Ponente ligure, accusato di aver creato il volo Roma-Albenga per le sue necessità di pendolare, appassionato d’auto d’epoca, pallanuoto e fornelli (è membro dell’Accademia italiana della cucina), Scajola, per bocca di alti dirigenti della Confindustria, “non avrà in mano il controllo della spesa, ma è tra i più ascoltati dal Cavaliere ed è il vero padrone della macchina di Forza Italia. Le imprese, quando vogliono qualcosa, devono bussare alla sua porta”. Il peso politico conta, ma non basta. La leva è, come sempre, nel denaro: il ministero gestisce oltre 5 miliardi di euro l’anno di incentivi e contributi a fondo perduto destinati all’industria privata nazionale, e altri pacchetti destinati alle aziende di Stato. Un’assistenza che fa rima, in tempo di crisi, con sopravvivenza.
Paradossalmente l’ex democristiano di economia non si è mai interessato granché. Uomo di partito, inizia a occuparsi di aziende ed energia solo nel 2005, quando Berlusconi, a tre anni dalle dimissioni da ministro dell’Interno (definì Marco Biagi, ucciso dalle Br, “un rompicoglioni” davanti a due giornalisti), lo richiama alle Attività produttive al posto di Antonio Marzano. Ci si trova bene, su quella poltrona, tanto che dopo la breve parentesi Bersani la richiede indietro.
La sua rete oggi lega insieme controllori e sostenitori dell’industria nucleare ed energetica, banchieri fedeli, imprenditori, massimi boiardi di Stato e alte sfere ecclesiastiche. Il centro della ragnatela è, ovviamente, in Liguria. Imperia è da cinquant’anni poco più del giardino di casa della famiglia Scajola: il padre Ferdinando, degasperiano doc, è stato primo cittadino nel dopoguerra, lasciando poi il testimone prima al fratello maggiore Alessandro e poi, nel 1982, a Claudio, che da giovane si è fatto le ossa nel movimento giovanile della Dc, nell’Inpdap, all’Ospedale Costarainera e all’Usl locale. Qui Scajola conta su una dote elettorale enorme, e i fedelissimi forzisti che siedono in Parlamento sono una trentina. “In ogni commissione”, spiega un importante lobbista milanese, “c’è un suo uomo. Vede tutto, non gli sfugge nulla. Soprattutto nel campo strategico dell’energia”.
Il presidente dell’Enea, il genovese Luigi Paganetto, è un suo uomo: fu proprio Scajola nel 2005 a proporlo come commissario straordinario per la sostituzione del Nobel Carlo Rubbia. Sotto la Lanterna ha sede la Ansaldo Nucleare, l’azienda controllata dalla Finmeccanica. Il colosso militare ha un rapporto stretto col ministro: solo per la nuova autoblindo a otto ruote Vbc Freccia (concepita nei lontani anni Ottanta) lo Sviluppo economico ha già stanziato 310 milioni di euro, mentre per le fregate Fremm (le navi firmate Fincantieri sono fatte in Liguria, così come radar, sistemi elettronici e armamenti annessi targati Finmeccanica) Scajola ci mette la bellezza di 800 milioni di euro. Il legame è anche personale: il big dell’imperiese ha ottimi rapporti con l’ad Pierfrancesco Guarguaglini, mentre nel cda siede un suo vecchio amico, Piergiorgio Alberti, 65enne di Sanremo, che da giovane militava nella stessa corrente (dorotea) di Claudio. Nel collegio sindacale c’è Silvano Montaldo, tesoriere regionale degli azzurri, piazzato anche al famigerato aeroporto di Albenga e recentemente nominato dal ministro commissario straordinario della Merloni, il gruppo di elettrodomestici.
Anche Alberti è uno che colleziona cariche nelle aziende che contano: attualmente siede su indicazione di Mediobanca nel consiglio della Parmalat, in passato è stato nei cda delle imprese di Marcellino Gavio e della Carige. L’istituto, il primo della Liguria e l’ottavo in Italia, è lo snodo finanziario dello Scajola Power: il fratello Alessandro ne è vicepresidente, Pietro Isnardi, il consuocero con interessi nell’immobiliare e l’alimentare, fa parte del consiglio.
“Scajola avrà un pessimo carattere e i modi del ‘ganassa’”, chiosa un esponente del Pd che lo conosce bene, “ma è uno che sostiene le imprese con i fatti, difende il sistema Paese e, contemporaneamente, i suoi interessi politici”. Se Eni ed Enel sembrano ascoltare soprattutto l’azionista di riferimento, ossia il Tesoro di Tremonti, Fiat e Telecom hanno intuito che il loro futuro prossimo venturo dipenderà soprattutto da re Claudio. Che prima ha difeso le istanze di Sergio Marchionne sul bonus rottamazione (la Lega era contraria a nuovi aiuti), poi ha iniziato a studiare il piano per lo scorporo della rete fissa da Telecom. Un dossier delicatissimo: Mediaset sarebbe interessata a lanciarsi nella televisione via Internet e nelle telecomunicazioni, Scajola dirà la sua.
Altro pallino del ministro è la disciplina. Sotto la sua guida il ministero si sta trasformando in una caserma. Sono stati cambiati 16 direttori generali, che impareranno presto come ordine e rispetto delle gerarchie siano imperativi categorici. Pare che Scajola in privato chiami i collaboratori “i miei soldatini”. Viste le premesse, sembra naturale che l’antica passione per la Benemerita non abbia vacillato nemmeno nel dicembre del 1983, quando a ora di cena i carabinieri di Milano bussarono alla porta dell’allora giovane sindaco per accompagnarlo in galera. L’accusa era di concussione aggravata, in un affare di mazzette (epicentro dello scandalo il casinò di Sanremo) da cui fu poi scagionato.
Ventisei anni dopo, di nuovo ministro, Scajola ha voluto come capo dell’Ufficio per gli affari generali un colonnello dei carabinieri. Non un militare qualunque, ma Roberto Massi, già capo del personale al Comando generale e, fino al 2007, comandante del reparto operativo di Roma. “Una mente”, dicono in molti. Laureato in legge, negli ultimi due anni si è occupato di inchieste importanti come quella su Lady Asl (che ha portato all’incriminazione di pezzi da novanta di An), Calciopoli e l’affaire Storace.
Nella squadra del ministro c’è di tutto: liguri doc, ambasciatori, ex prefetti, imprenditori. Se Paola Girdinio, preside della facoltà di Ingegneria di Genova, è tra gli esperti che decideranno a chi destinare i 200 milioni del programma ‘Efficienza Energetica’, i suoi tuttofare sono il fidato Michele Scandroglio (fino a poco tempo fa all’Isvap e alla Carige, oggi è stato eletto alla Camera restando vicepresidente di una società di consulenza e consigliere di imprese per il recupero crediti) e Raffaele Lauro, senatore Pdl nominato suo ‘consigliere politico’. Amico di Giuliano Tavaroli, natali a Sorrento, folgorato in gioventù dal carisma di Antonio Gava, Lauro fu indagato e poi prosciolto per la storia dei fondi istituzionali utilizzati dai dirigenti del Sisde, ed è un vecchio protégé di Scajola: capo di gabinetto nel 2005, nominato nel cda della Carige l’anno successivo, presidente della commissione Antiracket e antiusura. Oggi siede pure nel ‘board’ dell’Antimafia.
L’attuale segretario particolare è invece Giuseppe Guerrera, che aspetta da due anni l’esito di un indagine della Procura di Sanremo che lo ha indagato per corruzione, mentre un altro uomo-chiave è Daniele Mancini, assunto come consigliere diplomatico mentre era ambasciatore in Romania. Elegante e influente, ottimi rapporti con le imprese venete che investono miliardi a Timisoara e dintorni, cura tutti i contatti con il dipartimento per il Commercio estero. “Finché il sottosegretario Urso non avrà le deleghe, le aziende devono rivolgersi a lui”, spiegano da Confindustria.
La rete del ministro non poteva prescindere dalle entrature nelle alte sfere del Vaticano. Seguendo l’esempio del papà Ferdinando, legato al segretario di Stato di Giovanni XXIII, Domenico Tardini, Scajola junior ha cucito rapporti eccellenti con Crescenzio Sepe. Tanto che nel 2004 l’arcivescovo di Napoli, quando comandava gli uffici di Propaganda Fide, chiamò la moglie Maria Teresa Verda nel comitato scientifico che avrebbe dovuto far nascere un museo con le opere della congregazione. I collaboratori del cardinale commisero al tempo una gaffe da Guinness, convocando invece della professoressa a contratto, l’omonima Donatella Scajola, teologa e biblista di fama.
Un piccolo incidente di percorso. Oggi l’eminenza preferita dal ministro è l’arcivescovo di Genova Angelo Bagnasco, che ha fatto carriera diventando presidente della Cei. L’amicizia è solida, le occasioni d’incontro non si contano. Il patriarca qualche giorno fa gli ha consegnato personalmente il premio San Francesco di Sales promosso dal Monastero della Visitazione. La serata tutta abbracci e complimenti è finita però con un codazzo di ironie: il presidente della giuria era la professoressa Verda. Nessuna omonimia stavolta. Si tratta proprio di Maria Teresa, la moglie di re Claudio in persona.

Piercarlo l’alternativo

Papà Claudio pensa al futuro con il nucleare, ma Scajola junior si occupa del presente lanciandosi nel business delle energie alternative. Piercarlo, figlio del ministro dello Sviluppo economico, 29 anni e una laurea in Economia a Milano, dal novembre scorso è infatti socio al 50 per cento della Agena srl, Azienda per la generazione di Energie Alternative con sede a Monza. Il socio di Piercarlo è Daniele Santucci, 60 anni, che nei primi anni ‘90 fu vicepresidente della Avio Nord. Santucci di energia se ne intende: fino a settembre era vicepresidente della Simav, società di sistemi di manutenzione della galassia Dalkia, che poi vuol dire colossi dell’energia come Edf e Veolia. L’Agena, probabilmente, vorrà entrare nel ricchissimo business che si apre in questi mesi. Forse per questioni di incompatibilità non potrà mirare ai 500 milioni che saranno stanziati dal ministero dello Sviluppo da qui al 2015, ma le alternative non mancano: la Regione Liguria, ad esempio, sta per varare un piano eolico che moltiplicherà da dieci a 150 le enormi pale per catturare il vento.

Il Ministro, giustamente, tiene tutte le porte aperte: se non va bene una cosa, ne andrà bene un’altra e francamente, in questo caso, faccio il tifo per Piercarlo.
Anche se ieri il Ministro è partito per Baghdad. A far cosa ce lo spiega l’Unità:

L’Eni è in pole position per aggiudicarsi il contratto relativo allo sfruttamento del giacimento petrolifero di Nassiriya.
Un campo petrolifero che, secondo le stime del ministero del petrolio iracheno, vanta riserve per circa 4,4 miliardi di barili, con un potenziale di produzione di almeno 300.000 barili al giorno. Una stima, quest’ultima, nettamente al disotto della valutazione dell’amministratore delegato del gruppo petrolifero italiano, Paolo Scaroni, secondo il quale potrebbe raggiungere il milione di barili. La conferma indiretta del prossimo buon esito della gara è venuta dal ministro dello sviluppo economico Claudio Scajola, partito ieri per Baghdad.