C’è demenza e demenza

scritto da Angelo Amoretti il 28 agosto 2014 ore 12:50

Non parliamo di quella senile perché leggo su Imperiapost che l’ex dirigente del settore ambiente Beppe Enrico (oggi trasferito a Sport e Cultura che, sia detto per inciso, dalle nostre parti sono due settori assai affini) ha denunciato per diffamazione a mezzo stampa il sindacalista della Uil Luigi La Marca per aver detto che l’appalto Tradeco era stato predisposto da “dementi”.
Detto che questo fatto mi ricorda la denuncia della CGIL nei confronti di Claudio Scajola quando disse all’altro Claudio (Porchia) che contava meno di zero, con tutto il rispetto per chi dovrà giudicare, penso che la marca male per La Marca perché secondo me coloro che hanno predisposto l’appalto in questione, erano ultralucidi e nella loro strapiena facoltà mentale.
Nel frattempo pare che da levante stia per arrivare una bomba, non credo d’acqua, ma di qualche altro liquido un po’ più puzzolente: il prossimo 12 settembre Beppe Grillo andrà a fare un giretto alla discarica di Collette Ozotto e Imperia sarà di nuovo sulle prime pagine dei giornali

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“Un caso della casistica”

scritto da Angelo Amoretti il 28 agosto 2014 ore 12:14

Ricevo questa mail, con preghiera di pubblicazione, che provo a sintetizzare così: può un dirigente pubblico, che è stato condannato, continuare a svolgere il suo lavoro?

UN CASO DELLA CASISTICA


Un individuo X, io per esempio, commetto un reato in qualità di pubblico dipendente o addirittura dirigente, il secondo per grado, e vengo condannato. Il mio tentativo non è di far pensare o dire:”Tutto il mondo è paese”. Ma se noi non ci consideriamo resistenti e denuncianti nei confronti di un sistema corrotto fino al midollo è allora che siamo inutili. ImperiaParla si occupa della nostra linda città e dobbiamo unire (pochi ma buonissimi) i nostri sforzi per accumulare dentro il calderone il malaffare, renderlo pubblico e visibile.
Dove si può reperire un dirigente di cui la Corte di Appello riferisce dell’appellante: “riferiva false testimonianze alla P.G. a proposito delle date di consegna degli elaborati presso il Comune, facendosi consegnare dal omisis in data successiva al 9 ottobre 1998 diversi elaborati ed attestando falsamente che gli stessi erano stati consegnati in epoca anteriore alla data di liquidazione, aiutava il predetto Omissis e Omissis ad eludere le investigazioni dell’autorità, Imperia 1998

DICHIARA
Omissis colpevole del reato di cui all’art. 326 codice penale, nonché di quello di cui all’art 378 stesso codice…
CONDANNA alla pena di mesi 4 di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali.
LE MOTIVAZIONI
24.05.2005 Genova

Ne cito solo una, en passant. “…Un comportamento dotato di particolare disvalore sociale, in quanto commesso da soggetto investito di funzioni pubbliche a favore di un soggetto col quale lo univano legami non di semplice conoscenza.”

Genova 2 maggio 2007
Corte di Cassazione

…I reati sono estinti per prescrizione.

Il Dirigente è rintracciabile all’interno del comune di Imperia. Mi assale un dubbio, uno e mezzo. Come mai dopo le belle parole dei Giudici della prima udienza e dell’appello ha continuato a lavorare? Poteva? Io dico di no: manco per niente. E se è così quanto avrebbe percepito, firmato altri atti, licenziato, sanzionato. Se così è l’amato ex dirigente al personale, che di gente ne ha fatta piangere, si è portato a casa oltre 1 milione di euro e continua.
Cosa significa prescrizione e qual’è il suo significato giuridico incontrovertibile?

Processo Penale 27  febbraio 2012 La prescrizione è una sostanziale condanna! Parlare di assoluzione o di proscioglimento per prescrizione, menzionando addirittura la parola innocenza, è una clamorosa falsità. Un ingenuo tentativo di manipolazione mediatica Il processo penale – in cui trovano applicazione il codice penale o la legislazione speciale per ciò che riguarda i reati, e il codice di procedura penale per quanto concerne le regole del loro accertamento – è una macchina molto complessa, molto difficile, ma tanto meravigliosamente razionale e completa. E’ una affascinante macro architettura in cui tutto è previsto, tutto è predeterminato, tutto è parte di un ingranaggio che si muove secondo un ordine tale da garantire che la legge sia uguale per tutti. Nulla viene lasciato al caso, all’immaginazione, all’opinione in libertà. Oggi, il nostro processo penale sembra essere diventato uno di quegli oggetti catartici che maggiormente buca lo schermo e l’immaginazione mediatica. Ottima cosa, se tale interesse generasse un innalzamento della consapevolezza collettiva su cosa significa delinquere, essere punito, infrangere con le proprie azioni la sicurezza sociale. Pessimo affare,se il passa parola della comunicazione di massa, fuori dalle aule di giustizia, finisca per diffondere notizie ed informazioni tecnicamente inesatte e fuorvianti. Al primo posto tra queste inserirei – senza ombra di dubbio – quelle che riguardano il significato di “prescrizione”, “assoluzione”, “innocenza”, “affermazione di responsabilità”. Nozioni giuridiche ben precise e inequivoche – cui corrispondono ancor più precisi ed inequivoci istituti di diritto sostanziale e processuale – oggi costantemente adulterate. E non sempre a caso …. Forse è il momento di fare un fugace, assolutamente documentale, ripasso: – La prescrizione (art. 157 c.p.) è un istituto di diritto penale che si limita a prevedere l’estinzione del reato, ossia la non punibilità astratta di un reato (qualunque esso sia e da chiunque sia commesso) decorso un certo periodo di tempo dalla sua commissione. Va da sé che i tempi di estinzione del reato sono diversi in base alle specifiche fattispecie illecite in discussione. Sul piano processuale, la prescrizione opera esattamente come la morte del reo (art. 150 c.p.), l’amnistia (art. 151 c.p.), la remissione della querela (art. 152 c.p.). Si tratta di situazioni “asettiche” di fronte alle quali lo Stato decide di rinunciare ad agire in sede penale. Viene lasciata ai privati, nell’ambito della giurisdizione squisitamente civile, la possibilità di fare valere le eventuali ragioni risarcitorie. – L’estinzione del reato è quell’istituto di diritto penale che individua e racchiude, in via di sintesi tipologica, le sopradescritte situazioni e circostanze atte a condurre alla non punibilità dell’indagato o dell’imputato. – La dichiarazione di estinzione del reato all’esito di un dibattimento penale (art. 531 c.p.p.) è la formula conclusiva che conclama la non punibilità processuale in relazione alla commissione di reati estinti. Essa presuppone, in modo oggettivo, la non innocenza dell’imputato. Il dato è incontestabile e rigorosamente statuito dall’art. 129 c.p.p.; norma fondamentale del nostro codice di rito che, nell’indicare analiticamente le diverse formule di proscioglimento che il Giudice dovrà utilizzare in caso di assoluzione dell’imputato (“per non avere commesso il fatto”, “perché il fatto non costituisce reato”, “perché il fatto non sussiste”, “perché il fatto non è previsto dalla legge come reato”) individua anche due specifiche situazioni processuali: a) quella in cui il processo non possa andare avanti perché manca una condizione di procedibilità (v., ad esempio, la querela in presenza di reati che necessitino di tale presupposto formale); b) quella in cui sia stata accertata o sia maturata una causa di estinzione del reato (v., ad esempio, l’amnistia o la prescrizione del reato). Sempre l’art. 129 c.p.p. impone – a fortiori se la causa di estinzione sia intervenuta alla fine di un dibattimento in cui l’imputato abbia avuto la più ampia possibilità di dimostrare la sua estraneità ai fatti addebitatigli – di assolvere nel merito laddove sia emersa una innocenza di natura sostanziale. In buona sostanza: ove il dibattimento abbia evidenziato la carenza di prove di colpevolezza, l’imputato dovrà essere assolto nel merito – ai sensi dell’art. 530 c.p.p. in relazione al secondo comma dell’art. 129 c.p.p. – e ciò nonostante la concreta esistenza di una causa di estinzione del reato contestato. A contrario, anche in presenza di una colpevolezza certa dell’imputato, il Giudice non potrà mai emettere una sentenza di condanna qualora siano maturati i tempi di prescrizione del reato, potendo al massimo limitarsi ad una pronuncia ex art. 531 c.p.p., di declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione. Che, poi, la concreta applicabilità della prescrizione possa presupporre calcoli piuttosto complessi – in base alla data di consumazione dello specifico reato contestato, alla valutazione di eventuali sospensioni o interruzioni dei termini, alla operatività di una legge anteriore piuttosto che di una norma successiva – è un fatto strettamente accessorio, che nulla aggiunge al nocciolo della questione … Questa è la Legge vigente nello Stato Italiano. Questo è il nostro Diritto. Parlare di assoluzione o di proscioglimento per prescrizione – menzionando addirittura la parola innocenza – è una clamorosa falsità. O forse ancora, un ingenuo tentativo di manipolazione mediatica
A.P.

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Riviera Trasporti, chi ha sbagliato paghi

scritto da Angelo Amoretti il 26 agosto 2014 ore 15:15

A proposito della crisi della Riviera Trasporti, rintengo questo comunicato del Laboratorio per Imperia assai interessante, a prescindere, e lo pubblico:

Il Laboratorio per Imperia non ha ritenuto di intervenire sulle problematiche politiche di questi ultimi mesi, sottolineando e confermando così la forte connotazione di lista civica con la quale si era proposta alla cittadinanza in occasione delle recenti elezioni amministrative per il rinnovo del Consiglio Comunale e l’elezione del Sindaco.
Riteniamo invece che ora sia giunto il momento di esprimere, in rappresentanza di chi ci ha gratificato di un forte consenso, le nostre valutazioni sul quadro generale e, in particolare, sui temi che rappresentano evidenti rischi e potenziali criticità. Le problematiche via via emerse su RT, Riviera Trasporti, in relazione alla pesante situazione del servizio di trasporto pubblico in provincia e la gravità della posizione debitoria ci inducono, da una parte, a esprimere il più vivo rammarico, dall’altra la più forte condivisione e sostegno alla azione di denuncia alla Corte dei Conti preannunciata in questi giorni dal gruppo consiliare del PD in provincia. Quest’azione avrebbe dovuto forse essere più tempestiva. L’attuale posizione debitoria, dalle informazioni apprese dagli organi di stampa e dalle associazioni sindacali, rischia di produrre pesanti ricadute sull’occupazione e rilevanti danni agli utenti.
Auspichiamo fortemente che vengano valutate le attività gestionali e amministrative di questi ultimi anni e le azioni e i provvedimenti assunti dagli organi societari responsabili a tutela del patrimonio aziendale. A noi ovviamente interessa soltanto che la Società possa percorrere la strada della soluzione dei problemi emersi grazie all’impegno di tutte le istituzioni, delle forze politiche, delle organizzazioni sindacali e dei singoli dipendenti. Ciò non di meno se verranno accertate colpe o anche semplici negligenze individuali occorrerà che chi di dovere intervenga con le eventuali azioni di responsabilità a tutela dell’interesse pubblico.
A questo proposito giova sottolineare come appaia quanto meno inconcepibile l’acquisto di mezzi alimentati a IDROGENO, in totale assenza di impianto di rifornimento della fonte energetica primaria e con i mezzi fermi inutilizzati in piazzale.

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La vicenda del signor Mancuso non mi convince

scritto da Angelo Amoretti il 21 agosto 2014 ore 18:08

Le scene e le retroscene dell’arresto del signor* Mancuso, il noto narcotrafficante colombiano accusato di 130 omicidi, non mi convincono e mancano troppi pezzi alla riscostruzione.
Dal momento che non sono un investigatore avrei bisogno del vostro aiuto per cercare di capire alcune cose che mi sfuggono.
Prima pubblico l’articolo di Marco Grasso, apparso sul Secolo XIX di oggi:

I retroscena della cattura tra indagini hi-tech e sistemi all’antica. Una vecchia cabina ha tradito a Imperia il narco-killer
Setacciate migliaia di utenze cittadine

Il primo indizio è stata una voce lontana diecimila chilometri. Domenico Antonio Mancuso Hoyos sta chiamando un parente. La conversazione è disturbata ma gli inquirenti colombiani, che tengono sotto controllo molti membri della sua famiglia, riconosce la voce del latitante. Il dialogo dura abbastanza a lungo perl ocalizzarlo: la telefonata è partita da una cabina telefonica della provincia di Imperia.
È partita così ìuna caccia all’uomo tra le più imponenti mai messe in campo in Liguria negli ultimi anni.
Gli investigatori sanno che la posta in gioco è alta.La segnalazione, trasmessa dai colleghi sudamericani attraverso l’Interpol, parla chiaro: Mancuso Hoyos è il ricercato numero uno dalle autorità di Bogotà ed è un pericolo per l’Italia. Va trovato con ogni mezzo, dal più tecnologico al più antico. E questa ricerca, che mischia appunto strumenti ultra moderni ad appostamenti vecchio stile, vale la pena di essere raccontata.
I finanzieri del Gico (Gruppo investigativo criminalità organizzata, coordinato dal colonnello Giuseppe Di Tullio) hanno poco più della segnalazione della postazione telefonica pubblica da cui è partita quella chiamata. La successiva traccia, quella fondamentale per indirizzare l’inchiesta, viene selezionata attraverso un complesso sistema di analisi di traffico telefonico.
È grazie a questa prima scrematura che vengono isolati alcuni numeri “interessanti”. Si tratta di cellulari che hanno avuto contatti con la Colombia. Sms o chiamate.
Anche qui, gli agganci sono pochissimi. Perché l’uomo in fuga, racconta un investigatore, parla quasi esclusivamente con Skype, per il timore di essere intercettato.
Il secondo passo è la geolocalizzazione dei numeri presenti nella lista, attraverso uno strumento all’avanguardia stile 007. Gli inquirenti a questo punto hanno un’idea di alcune zone di Imperia e da qui in poi comincia l’indagine vecchio stampo. Attese di ore, appostamenti, pedinamenti. Finché il ricercato viene stanato.
Vive una vita anonima in Liguria da un paio d’anni. Frequenta spesso la chiesa.
Qualcuno, nonostante le precauzioni, lo ricorda, soprattutto per la stazza. Appena individuato il via al blitz è quasi immediato.
Mancuso Hoyos ha sulle spalle quattro mandati di cattura. Da esponente dell eAuc-gruppo assoldato da proprietari terrieri, con legami importanti nel narcotraffico, in particolare con la ’ndrangheta, e con la complicità di alcune frange delle forze armate colombiane avrebbe partecipato o deciso 132 omicidi, commessi nel corso di quattro massacri avvenuti a La Gabarra, al confine con il Venezuela.
Negli anni le Auc – comandate per anni dal cugino, il più noto Salvatore Mancuso, detto “el Mono” (la scimmia) – diventano un vero e proprio esercito paramilitare. Milizie fondamentali nella geopolitica del narcotraffico perché hanno prima combattuto le Farc (i guerriglieri marxisti leninisti) poi piegato ettari di territorio colombiano alla coltivazione di cocaina. Nel fascicolo istruito dal procuratore speciale per i diritti umani, Domenico Antonio Mancuso Hoyos è accusato anche di aver privato della propria terra oltre tremila persone.
Negli ultimi anni l’Onu ha finanziato (senza successo) milioni di euro a favore di programmi di riconversione delle coltivazioni di coca. Fra le ragioni dei fallimenti il controllo esercitato dalle organizzazioni paramilitari, a cui vengono attribuiti migliaia di omicidi.

La domanda principale che mi frulla per la testa è: come mai il signor Mancuso è finito a Imperia?
Le altre sono queste:
Come mai gli è stato rilasciato un passaporto?
Mi hanno detto che per quanto riguarda la carta d’idendità, in Comune non fanno troppe ricerche: vai, la chiedi e te la rilasciano.
In Questura non avevano foto segnaletiche? Se l’Interpol l’ha segnalato e se Mancuso era uno dei più ricercati al mondo, come ha potuto avere un passaporto?
E come mai ci sono voluti due anni per arrestarlo? Capisco che per le indagini ci voglia tempo, ma visto che si trattava di una preda che non stava intrunata tutto il giorno, cavolo, c’è voluto così tanto per pinzarlo?
Dall’articolo di Grasso si evince che a Imperia c’è una cabina telefonica che funziona e che è meglio telefonare con Skype (così la Postale se ne va in brodo).

* Lo chiamo “signor” perché se prossimamente dovesse incontrarmi in qualche caruggio, potremo discutere pacificamente.

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Dove sono finiti gli amici di Claudio?

scritto da Angelo Amoretti il 17 agosto 2014 ore 12:37

Qualche volta, riordinando libri e documenti, mi capita di trovare cose che voi umani non potete neppure immaginare: i lecca lecca della Lega Nord, per esempio, rigorosamente verdi (immagino, dunque, al sapore di menta) e le bustine di zucchero con in bella mostra Alberto da Giussano.
Oppure un opuscolo, scritto nel 2001 da Andrea Orsini e Luigi Giglio, dal titolo “Claudio Scajola, la politica del fare”, a cura degli “amici di Claudio”.
Il documento, di sole 70 pagine, ma ricco di immagini e ritagli di giornali (ce n’è uno in cui si legge che l’Iva sul basilico era scesa dal 20 al 4 per cento grazie al nostro statista)  e da ritenere quindi di fondamentale importanza , inizia così:

Cos’è la politica? Per alcuni è semplicemente un mestiere, un modo come un altro per mantenere la famiglia, per tentare la scalata al successo e, qualche volta, per arricchire.
Per altri è poco più che un hobbyal quale dedicare un po’ di tempo libero, sottraendolo al lavoro, alla famiglia, al riposo.
Per fortuna non ci sono soltanto queste due alternative, altrimenti saremmo nelle mani soltanto di mestieranti senza ideali, pronti a vendersi a qualsiasi causa, oppure di dilettanti senza esperienza, senza per questo esserne schiavi; uomini per i quali la politica è un lavoro quotidiano, serissimo, che non ammette debolezze o distrazioni, proprio perché sono in gioco questioni importanti per la collettività, e per i quali la coerenza con i propri ideali, con la propria cultura, con i valori professati è una regola che non ammette eccezioni.
Per troppi anni, nel nostro paese, l’impegno politico è stato considerato dai moderati quantomeno con scarsa attenzione.
Questa è una delle cause – e non la meno importante – della debolezza strutturale che ha sempre caratterizzato nella nostra storia i partiti di centro, che pure hanno a lungo rappresentato la maggioranza degli elettori. In Italia gli uomini politici di grande professionalità, senza essere professionisti della politica, non sono dunque molti.
Claudio Scajola è uno di loro. Per questo vale la pena di conoscerlo meglio. E per questo crediamo che meriti la nostra fiducia e quella degli elettori.

Qualcosa, in seguito, deve essere andato storto, ma oggi mi preme porre la vostra attenzione, o affezionati lettori, sul seguente quesito: “Che fine hanno fatto gli amici di Claudio?”.
Lo spunto mi viene dato dall’intervista a La Stampa di oggi di Antonello Ranise, coordinatore cittadino di Forza Italia, al quale occorre riconoscere perlomeno la coerenza con cui si è sempre battuto in difesa di Scajola.
In sostanza dice che o Forza Italia cambia oppure se ne va. Basta leggere il suo comunicato di domenica scorsa per capire che il .C.C. è profondamente deluso. Solo che in quel comunicato sembrava deluso dal fatto che nessuno degli “amici di Claudio” si era fatto sentire in difesa dell’ex ministro. Oggi lo pare anche dal funzionamento del partito e addirittura si chiede se esiste un coordinamento regionale.
Aggiunge che “In questo primo anno di opposizione, pur tra mille difficoltà, il nostro gruppo consiliare ha saputo fare quadrato“. In verità ci ho visto più un triangolo che un quadrato e ricordo quando qualcuno del centrodestra aveva detto che era venuta l’ora di prendere in mano la situazione.
Temo che abbia preso qualcos’altro e, come Ranise, per Forza Italia locale la vedo grigia.

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Clamoroso: il pluriomicida Mancuso faceva la comunione tutti i giorni!

scritto da Angelo Amoretti il 10 agosto 2014 ore 17:50

Una delle cose che mi fanno amare la città in cui sono nato, ho studiato, lavorato e adesso non ci faccio un tubo tutto il giorno, è che se in un suo qualsiasi angolo [strada, bar, mercato...aggiungete voi] una persona che ha tutto l’aspetto di un ligure [che è quello di chi si fa troppo i fatti degli altri, lo dico a beneficio di chi ligure non è e capita qui per caso] si avvicina a due indigeni e chiede loro una qualsiasi informazione, appena si allontana uno dei due chiede all’altro: “Chi u l’è ’stu chi?” [tr.:"Chi è costui?"] e dopo una mezzoretta ci hanno ricamato tutta la vita, dai tempi dell’asilo ai giorni nostri. Se poi il ricamo corrisponda o no alla verità, resta tutto da verificare.
Ho fatto il preambolo perché oggi ne ho saputa una grossa e devo ripetermi: in molti mi diranno “Ma guarda che lo sapevano tutti!“.
Il boss colombiano arrestato qualche giorno fa Domenico Antonio Mancuso Hoyos, cugino del Mono e nipote dello Stereo, andava a messa tutte le mattine e faceva pure la comunione, senza confessarsi!
Questa mattina i nostri migliori giornalisti sono andati a intervistare Don Giorgio, il parroco di Santa Maria Maggiore a Castelvecchio.
Riviera24 lo scrive come “esclusiva”, solo che l’intervista appare anche sugli altri portali, quindi, per non far torto a nessuno, non metto link.
Don Giorgio ci racconta un sacco di cose interessanti sul signor Mancuso: tipo che gli aveva regalato una statuetta di Padre Pio (son soddisfazioni), che durante le processioni portava il cero e che faceva la comunione tutte le domeniche. Fin qui tutto bene.
Siccome il signor Mancuso stava nella nostra città da due anni, nell’elegante condominio ‘Il Sogno’, una volta è andato a prendere una pizza e chi gliel’ha venduta dice che gli sembrava una persona normale. Si sa, infatti, che i narcotrafficanti pluriomicidi (ricordo che il signor Mancuso è accusato di aver ucciso 130 persone) di solito vanno a testa in giù e piedi in su, quindi sono facilmente riconoscibili.
Probabilmente il cugino del Mono sarà anche andato a fare la spesa, qualche volta, per cui mi aspetto l’intervista esclusiva alla cassiera del supermercato. Se poi, in due anni, è anche andato dal barbiere, ciao, leggerò pure l’intevista al Figaro di turno.
Don Giorgio non lo sa, probabilmente, che anche Riina e Provenzano, tanto per far due nomi a caso, andavano a messa tutte le domeniche. E forse non lo sa che tra i devoti, spesso, si vedono facce poco raccomandabili. Ma la Chiesa è bella per questo, perché è elastica: apre le porte a delinquenti, ma non dà la comunione ai divorziati. Sono cose che invitano a continuare ad andarci. E da tutta questa vicenda Don Giorgio ha imparato che “se hai fatto del male a qualcuno, prima o poi ti torna indietro” che non è propriamente una morale cristiana, ma va bene così, sempre per la storia dell’elasticità.
Più che altro se hai fatto del male a qualcuno, oltre a tornarti indietro, ti pinzano e ti schiaffano in galera. Poi, per quanto ci starai è un altro discorso che non è il caso di imbastire.
A nessuno è venuto in mente, a proposito di questa persona “con un aspetto angelico” di chiedere: Chi u l’è ’stu chi?

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I portatori di handicap si devono licenziare!

scritto da Angelo Amoretti il 10 agosto 2014 ore 16:33

Ricevo e pubblico:

I portatori di handicap si devono licenziare!

Per la moralità della loro natura non stanno commettendo un delitto: Di Ethos e Pathos ne parliamo in un secondo tempo, meglio nel terzo. Hanno obbedito, come soldatini di piombo o come barboncini ammaestrati, e, in qualità di complici, non sono meno colpevoli dei mandanti e degli esecutori di un delitto. Hanno premeditato, con volontà e reiterazione. Nessuna procedura, o umano comportamento, mi è stato riservato. La procedura dei codici il più delle volte è tassativa. Per una causa di lavoro, chiesta in urgenza, i tempi prestabiliti dal codice civile sono di non oltre giorni quaranta per fissare l’udienza. In primis il giudice non segue nessuna procedura umanista o civilista. Non provvede a sanzione, come previsto, chi delle controparti non si attiene alla procedura, che è forma e sostanza. Come mai? Soprattutto se una delle parti, proceduralmente, si è totalmente resa assente nel seguire le norme di legge.
Il motivo del “licenziamento senza preavviso” non è prassi comune. Esiste, in realtà, un’accusa: manomissione delle strumentazioni elettroniche: la timbratura, il celeberrimo cartellino.
(Ve lo rivelo doucement doucement: “hai rotto i coglioni. Face to face.”)
Che sbadato, dimenticavo, sono la parte in causa, in realtà non una parte, ma tutto. Moltissimi lo sanno e se ne sono ben guardati nel tempo ad essere civilmente democratici: assumere un legale per farsi le proprie ragioni. Sono fiero che di me si sia occupata personalmente il Procuratore Generale, per richiedere l’archiviazione: trattasi di denuncia di poco precedente al licenziamento.
Ora, poniamo, che lo scrivente, documentazioni presentate con zelo e dovizia nel tempo prestabilito e tempestivamente, avesse alla sua sinistra, hinc et nunc, un foglio A4 della Commissione Medica per l’Accertamento dell’Handicap. C’è, c’è.
Riassumo: data 15/5/2014
Parere dell’esperto: cuore, vescica, pelle, anima-cervello.
Diagnosi funzionale: AI SENSI DELL’ART 4 della legge 05 febbraio 1992 n.104, La Commissione Medica riconosce (Alberto Carli, che sarei sempre io. n.d.r.) PORTATORE DI HANDICAP IN SITUAZIONE DI GRAVITA’ (COMMA 3 ART. 3)
L’A.S.L n. 1 Imperiese trasmette, per dovere d’ufficio, la certificazione suddetta all’inps/inpdap. Nero su bianco, peraltro, da timbrature in copia trasmesse al mio avvocato il/la denunciate e il suo braccio destro hanno commesso più e più volte il mio stesso reato. Risulta in modo inequivocabile. A meno che chi legge non si affetto da totale cecità.
Io sono un truffatore, notoriamente. Un truffatore che assume da due anni un’abbondante quantità di farmaci.
Avete mai letto Edward Bunker, “Cane mangia cane”? Fuori dalle sbarre “cane non mangia cane”.
Sono portato alla sconfitta, ma “so di non sapere”, socraticamente, e di non essere eterno. Se sono ancora vivo dal 10 marzo 2012 è culo e capacità assoluta del 118 Per dire che il resto che ho vissuto è in più.
In tutta sincerità: io conto meno di niente. Se sono spaventato? Come avere “la scimmia sulla schiena”. Poi penso alla dignità, che mi ha insegnato Pino M. E ho rivisto chi aveva paura ma quei cazzo di 100 passi li ha fatti. Ho pensato, per sopravvivere, a tanti altri coglioni che hanno creduto in un mondo migliore, o meno peggio di questo.
Alberto Carli

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Imperia: catturato il boss colombiano Domenico Antonio “Hoyos como va” Mancuso

scritto da Angelo Amoretti il 8 agosto 2014 ore 11:41

E’ proprio il numero delle persone uccise che desta sgomento: l’uomo è ritenuto responsabile di oltre 130 omicidi” si legge sul Secolo XIX di oggi.
Con tutto il rispetto per le vittime e per l’autore dell’articolo, a me desta sgomento che il sig. Mancuso, con tipico cognome colombiano, sia finito a Imperia.
Me lo immagino in Colombia che, tra un pippotto e l’altro, fa girare il mappamondo, lo ferma con un dito ed esclama: “Imperia! Andrò là e aprirò un hotel a cinque stelle, così riciclo il denaro sporco”.
Il signor Mancuso viveva in un alloggio a Imperia da due anni e sarebbe interessante sapere:
Chi gli ha regalato il mappamondo?
Chi gli ha messo a disposizione l’alloggio?
Cosa è stato trovato?
Non lo sapeva che a Imperia abbiamo già l’hotel Rossini, che stelle ne ha quattro, ma bastano e avanzano?
Forse si è confuso e pensava che fosse un teatro?

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Bonyfiche

scritto da Angelo Amoretti il 6 agosto 2014 ore 15:54

Riguardo al caos rifiuti di Imperia leggo sul Secolo XIX che i dipendenti della Idroedil sono esasperati:
Proprio la pesante incertezza sulle prospettive nell’immediato futuro ha portato all’esasperazione i trenta dipendenti dell’Idroedil, che oggi lavorano nel lotto 5 – di cui la ditta non solo ha la gestione, ma anche la proprietà –, che si esaurirà a fine gennaio 2015, e che contavano di continuare a lavorare nel sovrastante lotto 6 (dove i terreni sono diventati pubblici perché acquisiti dalla Provincia, mentre la realizzazione e gestione è stata affidata tramite gara d’appalto europea all’Idroedil), dal febbraio del prossimo anno.
Lo sanno che ci vogliono anni per bonificare una discarica, vero?
A meno che non si faccia come per quella di Ponticelli: in fondo un centinaio di ulivi che si illuminano a gratis nelle feste di Natale potrebbe essere una bella attrattiva turistica.

Sul Secolo di carta, invece, a proposito del pre-fallimento della Riviera Trasporti e delle polemiche sui primi destinatari delle lettere di licenziamento, il consigliere di amministrazione, Roberto Barla, dice: “Sono figure di capi area che non esistono più e sono a casa da tempo pur continuando ad essere pagati dall’azienda“.
Magari non so, gli portavano anche il giornale tutte le mattine?

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Scajola, l’archivio segreto era dentro i muri

scritto da Angelo Amoretti il 6 agosto 2014 ore 08:38

Giuseppe Baldessarro per la Repubblica

Gli hard disk e le chiavette con documenti riservati sono stati trovati nelle nicchie nascoste dietro ai quadri nella villa di Imperia

Sì del gip al giudizio immediato per l’ex ministro e per lady Matacena: saranno processati a Reggio Calabria il 22 ottobre.

REGGIO CALABRIA – Era nascosto in alcune nicchie scavate nel muro. In piccoli vani nascosti da quadri o stampe. In alcuni casi coperti ad occhi indiscreti da armadietti leggeri, tali da poter essere spostati da una sola persona. Lo hanno trovato in quei buchi l’archivio segreto di Claudio Scajola. È dalle mura che è saltata fuori la “storia” dell’ex ministro dell’Interno e Presidente del Copasir. Non è stato semplice, perché dalla prima perquisizione ad Imperia, fatta sia allo studio privato di via Matteotti che in quello della casa di Via Diano Calderina, non era affiorato nulla. O meglio, gli uomini della Dia di Reggio Calabria avevano sequestrato soltanto la parte di archivio “pubblico”. Documenti, computer, tablet e telefonini che già in passato erano stati passati allo scanner dagli investigatori di diverse procure. Nulla di particolarmente interessante, ma è proprio analizzando quei file che i magistrati che conducono l’inchiesta sulla fuga di Amedeo Matacena a Dubai (il pm della Dda Giuseppe Lombardo e l’aggiunto della Dna Francesco Curcio) si sono convinti a firmare un secondo decreto di perquisizione, eseguito dopo la prima dell’8 maggio scorso.

Una scelta compiuta alla luce del fatto che da alcuni documenti spuntavano riferimenti ad altri fascicoli e a cartelle informatizzate che però non erano state immediatamente trovate. Così, scrivono i magistrati, «atteso che vi è il fondato motivo di ritenere che uno o più documenti di natura informatica siano sfuggiti all’attività di ricerca» vi è la necessità di una «ulteriore attività di perquisizione dei locali di abitazione, di ufficio e delle sedi aziendali riferibili a Claudio Scajola». Un nuovo blitz che ha anche riguardato Giuliana Fossati (non indagata), un tempo segretaria dell’ex ministro. Un lavoro molto più dettagliato di quello svolto in precedenza dagli inquirenti. A essere rivoltati come un calzino questa volta non sono stati solo gli studi. I magistrati hanno agito d’urgenza per timore che il materiale potesse essere fatto sparire. Nello studio di Scajola spostando alcuni quadri sono saltate fuori le nicchie nelle quali c’erano alcuni hard disk e una serie di pen drive. Così una dopo l’altra sono saltate fuori tutte le “edicole” nascoste, ed in ognuna di esse il materiale informatico cercato.

Per la Procura si tratta dell’archivio segreto di Scajola, quello mai trovato in passato. Ora il materiale si trova al Centro Dia di Reggio Calabria, nelle mani degli analisti che ne stanno tirando fuori una marea di dati. Qualcuno si spinge a dire «gli ultimi 30 anni di storia politica e personale di Scajola». Materiale sul quale al momento vige il massimo riserbo, che molto probabilmente confluirà nel processo del 22 ottobre con rito immediato deciso ieri dal Gip del Tribunale di Reggio Calabria che ha accolto la richiesta della Procura. I magistrati avevano chiesto il giudizio immediato per Chiara Rizzo (moglie di Amedeo Matacena), per l’ex ministro Claudio Scajola, le segretarie dei due ex politici Roberta Sacco e Maria Grazia Fiordelisi e per il factotum di Matacena, Martino Politi. Inizialmente lo stesso iter era stato chiesto per Matacena, la cui posizione è stata poi stralciata. Ad alcuni viene contestato il reato di procurata inosservanza di pena, ad altri l’intestazione fittizia di beni dello stesso Matacena, ancora latitante a Dubai.

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